Perché facciamo le code per il pollo fritto
Popeyes apre a Torino ed è già fenomeno social. Il pollo che si fa piatto, feticcio e post è la chiave per renderlo virale.

Una domanda retorica che forse non troverà risposta in questo pezzo, ma porsela è già un buon inizio. A Torino ha appena aperto Popeyes, gigante americano del pollo fritto. Il punto vendita di fried chicken alla maniera della Louisiana è il sesto in Italia, e il primo in Piemonte. Puntualmente, come già successo per altre catene di junk food made in USA, l’hype è stato immediato e travolgente. Con ragazzi, soprattutto giovanissimi, in coda per accaparrarsi una porzione di pollo croccante e succulento – e postare sui social prima di azzannarlo.
Cos’è Popeyes
Nessun legame con Braccio di Ferro, in inglese Popeye. Il nome della popolarissima catena USA dedicata al pollo fritto è ispirato a Jimmy “Popeye” Doyle, protagonista del film anni 70 “Il braccio violento della legge”. In fondo un arto di mezzo c’è, e nel caso della materia prima in questione diventa ala o coscia. Popeyes Famous Louisiana Chicken è un indirizzo ubiquitario negli Stati Uniti, spesso diventato virale grazie ad astute operazioni di marketing.
Un paio di anni fa ad esempio è stato protagonista di una diatriba social costruita ad arte. Il contendente in quel caso era Chick-fil-A, altro distributore seriale di pollo. Ciclicamente poi l’internet si diletta a comparare Popeyes a KFC, a Wendy’s, a Raising Cane’s con discussioni infinite su chi abbia effettivamente il pollo migliore. Ognuno di questi attori ovviamente sta al gioco, in una gara al rialzo dell’algoritmo in stile nel bene o nel male, purché se ne parli.
Il pollo feticcio
Quello che resta fuori dalle discussioni è paradossalmente il pollo. Animale che, ricordiamo, è il più sfruttato al mondo, con milioni di esemplari uccisi ogni singolo giorno. Non solo: il cosiddetto pollo broiler, il più utilizzato oggi nella grande industria, è ibridato in modo da crescere tanto e in fretta, condannato a una vita breve di sofferenza fisica e psicologica passata completamente in cattività artificiale.
E allora: perché facciamo la fila per il pollo fritto? Quale attrattiva nasconde questo prodotto standardizzato, uguale di qua e di là dell’Atlantico? Beh, ovviamente c’è di mezzo la ricetta, specie quella signature di ogni chicken house che dà il suo tocco semi-sintetico a wrap e panini. Grasso, sale e spezie, la dose perfetta che crea dipendenza e soprattutto un pubblico fedele.
C’è di mezzo poi la creazione del desiderio, che va a braccetto con la condivisione social. La quale a sua volta mostra come tutti possano fruire non tanto di un piatto, quanto di una magica esperienza collettiva. Come ci si riesce? Con la customizzazione, ovvero la possibilità di personalizzare il proprio sandwich con salse e topping di vario tipo. L’endorsement delle celebrità e i menu ispirati a rapper, cantanti, Tiktoker famosi. Le campagne di cibo o oggetti in edizione limitata (ricordate il caso Lidl?) che scatenano il senso di appartenenza e di accaparramento delirante.
Così si crea l’aspettativa, così si crea un fenomeno. L’apertura di Popeyes a Mondojuve Shopping Village ce lo dimostra, così come lo hanno dimostrato negli anni i vari McDonald’s, Burger King e compagnia bella. L’obiettivo, dice il general manager di Popeyes Italia Davide Gioffrido è “continuare a crescere rapidamente, aprendo cinquanta ristoranti in tre anni e offrendo a sempre più persone un’esperienza autentica e riconoscibile”. La parola chiave è sempre esperienza: con buona pace (all’anima sua) del pollo.
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