La scrittrice Vincenza Tomaselli sulle relazioni tossiche: «Credo che a turno, ciascuno di noi, possa essere vittima e carnefice. Luce e ombra si sovrappongono sempre»
I libri della scrittrice Vincenza Tomaselli hanno tutti la stessa peculiarità: arrivati alla fine viene subito voglia di ricominciare a leggerli. La scrittura è fluidissima, il pensiero vola come un flusso di coscienza, parole ed emozioni si susseguono con un ritmo incalzante che rapisce e porta via con sé fino all’ultima riga. Il contesto surreale, poi, enfatizza la scorrevolezza per la felicità del lettore che però non ha mai la sensazione di una mancanza di profondità. Anzi. Può nascere proprio da un bisogno di scendere ancora più a fondo il desiderio di ricominciare daccapo la lettura, magari con una matita in mano. Perché alcuni concetti meritano di essere evidenziati, interpretati, metabolizzati.
Per Vincenza Tomaselli i numeri sono importanti almeno quanto le parole. Si era intuito al tempo di Novantanovesimo Cancello, se ne ha l’assoluta certezza adesso con Undici e Undici (Armando DeNigris Editore, € 13), novità editoriale presentata in maggio al Salone del libro di Torino. È qui che ci incontriamo per l’intervista. Indossa una tuta bianca dal mood spaziale; la osservo e penso che si adatti perfettamente alla «missione esplorativa dell’universo psicologico femminile» che intraprende attraverso la sua scrittura. Una fine capacità introspettiva che a tratti mi riporta a quella con cui, un tempo, i drammaturghi greci delineavano l’animo delle loro eroine tragiche e che una siracusana ispirata come lei ha probabilmente insita nel DNA.
«Sono sempre stata attratta dal numero undici. Ho studiato numerologia e sapevo che questo è il numero dell’illuminazione, della creatività. Insomma, in qualche modo io mi sento legata a questa cifra», racconta. «Due anni fa, però, capitava sempre più spesso che la cifra diventasse doppia sui display dei cellulari, sull’orologio. Mi dicevo “non è possibile che sia una coincidenza” e visto che questa cosa accadeva con sempre più frequenza, ho deciso di andare a fondo».
E poi?
«Grazie alla fisica quantistica mi sono resa conto che la cifra doppia 11 11 non è altro che una frequenza, una vibrazione numerica. Evidentemente io ne ho bisogno, perché qualcosa dentro me deve mettersi in asse. La fisica quantistica ci insegna che tutti siamo energia, siamo fatti di atomi e di conseguenza anche i numeri, come i colori, hanno le loro vibrazioni e le loro frequenze. Nasce così questo «gioco» di 11 e 11, che fra l’altro si è collocato in un periodo della vita in cui procrastinavo più spesso, in cui c’erano cose del passato che avrei voluto cambiare ma che, com’è giusto che sia, non potevo più fare. Da lì, allora, è nata l’idea di scrivere una storia su una donna che un giorno, proprio alle 11 e 11 di sera, decide di dare una nuova direzione, un nuovo corso alla sua vita».
Che cosa le succede?
«Parte per lo stretto di Bering. Il suo desiderio è vivere nelle isole di Diomede, due terre separate da 3 chilometri di acqua, una delle quali è di appartenenza americana, l’altra russa; in mezzo passa la linea di cambiamento di data, che implica un fuso orario diverso a seconda dei due Stati. Quando quei 3 km d’acqua, durante l’inverno, si congelano, danno l’opportunità a chi vive in quel posto di “viaggiare nel tempo”. Ebbene, la protagonista di questa storia surreale – dal significato simbolico – decide di arrivare lì senza documenti e di essere chiamata “senza nome”, in modo da poter essere “nessuno” e “qualcuno” allo stesso tempo. Vuole riprendere cose del passato da una parte e cose del futuro dall’altra, portarle tutte nel presente di quella striscia d’acqua congelata e cercare di rimaneggiarle. Lo fa con l’aiuto di tre uomini che vivono in una cattedrale di vetro, eretta in questo luogo completamente deserto. Ognuno di questi uomini ha delle cifre tatuate sul corpo: il primo sulle palpebre, il secondo sulle labbra e il terzo “sull’orgoglio maschile”. Saranno proprio loro a consegnarle i “pin” per la sua rinascita».
E che rinascita è quella di «Senza Nome»?
«Una rinascita strettamente legata a un passato di dipendenza affettiva familiare che in qualche modo ha condizionato la sua più grande storia d’amore, e che l’ha resa sentimentalmente dipendente anche dall’uomo che aveva sposato, al punto da dar vita a una relazione tossica. Nonostante ciò, il carnefice qui non viene condannato ma considerato alla stregua della sua stessa vittima: anche lui ha vissuto delle dipendenze durante l’infanzia. Credo infatti che a turno, ciascuno di noi, possa essere vittima e carnefice, perché luce e ombra si sovrappongono sempre. Ciò che spicca nel libro è quindi l’incontro di due anime disfunzionali, con un esito della storia che però non voglio spoilerare».
Un modo un po’ «alternativo» di presentare una relazione tossica…
«L’idea non è quella di “scagionare” il carnefice, ma di superare il dualismo vittima-carnefice e considerare che prima di condannare qualcuno a prescindere – un eventuale manipolatore, un narcisista covert o quant’altro – è necessario guardarsi dentro cercando di cogliere quelle che sono le proprie disfunzionalità. Certe relazioni sbagliate, tossiche, di sicuro hanno basi e fondamenta anche nell’inconsapevolezza e in traumi ancora irrisolti. Come si evince dal libro, la relazione tossica si basa sulla disfunzionalità di due personalità, sia della dipendente affettiva che del manipolatore. E quando si arriva a una disintegrazione dell’identità di entrambi, o di uno dei due, è giusto cercare di capire quali cause hanno portato a tutto ciò. Il messaggio, pertanto, è un invito a conoscersi meglio, perché solo attraverso la prevenzione, attraverso cioè una chiara conoscenza di se stessi, molte cose non accadrebbero proprio».
Quanto è autobiografico Undici e Undici?
«È fondamentale che nei miei libri ci siano degli elementi di autobiografia: sono incapace di scrivere di quello che non vivo. Più che una scrittrice vera, mi considero “un’intonata della scrittura”. Gli scrittori veri sanno scrivere anche di cose finte; io riesco a farlo solo di ciò che è reale».
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