Il Maestro Tetsugen Serra: «Oggi sembra che esistiamo solo se ci raccontiamo sui social. Il silenzio, invece, ci riavvicina a noi stessi in profondità, praticarlo è una medicina»
Come si costruisce attraverso il silenzio un rapporto diverso con gli altri e con sé?
«Con le parole costruiamo una narrativa di noi stessi che raramente è aderente a quello che siamo, e nello stesso modo ascoltiamo quella degli altri. Il silenzio invece genera delle connessioni autentiche perché apre uno spazio con l’altro e con sé per un ascolto profondo, una presenza genuina che non è basata sulla narrazione. Quando le persone sono insieme in silenzio e superano il disagio, l’altro è già diventato uno come te. Il silenzio è un atto curativo sia nella relazione con l’altro sia con noi, perché in silenzio ci accogliamo e ci ricordiamo quello che siamo davvero: non devo essere raccontato per essere amato o non devo sapere tutto per essere degno di qualcosa, non devo per forza far rumore per esistere».
Qual è il rapporto tra il silenzio e la parola?
«Il silenzio è l’origine della parola, senza silenzio non posso parlare. Quindi è molto importante trovare il silenzio per parlare: non è un impedimento, è il mezzo per dare valore alla comunicazione. L’italiano, tra l’altro, è una lingua piena di pause, abbiamo i punti e virgola, i puntini di sospensione, le virgole, i due punti, quindi una lingua che ricorda il silenzio. Il silenzio va inserito nel dialogo con gli altri, nel pensiero. È importante vederlo in mezzo alle parole, in mezzo alla vita».
Che cos’è il silenzio, come lo sperimenta veramente?
«Silenzio non è stare zitti, stare zitti è un’imposizione, il silenzio è la terra vergine pronta ad accogliere ogni nuovo pensiero, i rumori che passano dei nostri pensieri non sono in antitesi con il silenzio, fanno parte della mente, l’importante è lasciarli scorrere, abituandosi a non essere reattivi, a non costruire continue reazioni e risposte».
Come si pratica il silenzio?
«Il silenzio è come la parola: in quanto tempo abbiamo imparato a parlare? Anche il silenzio è un’abitudine. Quando si è bambini ci sono moltissimi momenti in cui si sta da soli con se stessi in silenzio. Dobbiamo abituarci a ritornare a questo silenzio: anche se la mente è piena di pensieri, li lasciamo lì, li osserviamo, sorridiamo, abituiamo la nostra mente a questa condizione. Il silenzio si può praticare in ogni momento, per esempio nel tragitto che si fa da casa al lavoro: io ho scritto meditazioni di cammino pensate per quel momenti (ndr, qui il suo ultimo libro L’arte della meditazione per tutti), in cui si osserva la città in movimento, e invece che arrabbiarsi per quello che succede, si prende un respiro profondo e si va avanti, perché tanto le cose accadono lo stesso. Magari con il silenzio avremo risposte diverse».
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