Papa Francesco, il silenzio di Netanyahu per la morte del pontefice che ipotizzò il genocidio. Il rabbino di Trieste: “Bergoglio era molto problematico”
Isaac Herzog ha espresso il suo cordoglio, Benjamin Netanyahu non ha proferito una sillaba. La morte di Papa Francesco è stata accolta in maniera diametralmente opposta dal capo dello stato israeliano e dal primo ministro di Tel Aviv. “Invio le mie più sentite condoglianze alle comunità cristiane in Israele – la Terra Santa – per la perdita del loro grande padre spirituale“, ha scritto Herzog su X, definendo Francesco “un uomo di profonda fede e sconfinata compassione“, che ha “dedicato la sua vita a sollevare i poveri e a invocare la pace in un mondo travagliato”.
Il presidente dello Stato ebraico ha anche elogiato l’impegno del Papa nel dialogo interreligioso e nel rafforzamento dei legami con il mondo ebraico. “Spero vivamente che le sue preghiere per la pace in Medio Oriente e per il ritorno sano e salvo degli ostaggi trovino presto risposta”, ha concluso.
Un tributo solenne, che ha messo in evidenza l’assenza di parole ufficiali da parte del capo del governo israeliano. Netanyahu ha parlato pubblicamente in occasione di una cerimonia commemorativa a Tel Aviv senza menzionare la notizia della scomparsa del Papa. Non è un mistero che le prese di posizione di Bergoglio sulla guerra a Gaza abbiano infastidito il premier israeliano. Francesco ha più volte definito le azioni di Israele “immorali“, facendo poi un ulteriore passo avanti con la richiesta di un’indagine per verificare se la campagna dell’Idf nella Striscia costituisca genocidio: “A detta di alcuni esperti, ciò che sta accadendo a Gaza ha le caratteristiche di un genocidio. Bisognerebbe indagare con attenzione per determinare se s’inquadra nella definizione tecnica formulata da giuristi e organismi internazionali”. Netanyahu, ma anche la comunità ebraica internazionale e italiana, ha più volte contestato che le dichiarazioni di Bergoglio a favore dei palestinesi erano quotidiane, mentre l’appello per la liberazione degli ostaggi, il ricordo delle vittime del 7 ottobre e la condanna del terrorismo sarebbero stati rari nelle parole del papa.
Proprio il giorno prima di morire, nell’Urbi et Orbi, il pontefice ha descritto “il terribile conflitto (a Gaza) che continua a generare morte e distruzione e a provocare una drammatica e ignobile situazione umanitaria“. Fino a pochi giorni fa, inoltr, Bergoglio ha continuato a sentire al telefono la parrocchia di Gaza e ha più volte parlato di “bambini mitragliati” e “massacrati“, e dei “bombardamenti di scuole e ospedali” da parte delle forze israeliane. Ma Francesco ha più volte sottolineato, anche in tempi recenti, il “dovere morale di riportare gli ostaggi a casa” e l’8 aprile 2024 ha ricevuto in Vaticano le famiglie di 5 persone rapite da Hamas il 7 ottobre 2023. In quell’occasione il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ringraziò “il Papa per aver risposto alla richiesta di incontrare le famiglie dei rapiti per rafforzarle e sostenere il ritorno dei sequestrati a casa. Il sostegno del Papa ha un grande peso morale e pratico, e sono convinto contribuirà al ritorno a casa dei sequestrati”.
La questione del “genocidio”, in particolare aveva urtato parti della comunità italiana. “Sull’indagine per genocidio a Gaza, il Papa poteva risparmiarselo. Alcuni interventi del Papa sono stati sbagliati – aveva detto il Rabbino capo
di Milano, Rav Alfonso Arbib, al termine del suo intervento presso la Sinagoga per il Giorno della Memoria – e credo sia necessario avere un atteggiamento più equilibrato nei confronti della questione mediorientale. Siamo davanti a una tragedia che coinvolge tutti, bisogna lavorare per superare questa tragedia”. Nell’ultimo anno, ha proseguito, “ci sono stati vari problemi, un problema di empatia soprattutto da parte dei vertici della Chiesa verso Israele e anche verso gli ostaggi, questo non vuol dire che non ne abbiano parlato o non abbiano chiesto la liberazione dei rapiti, ma mi aspettavo qualcosa di più“.
Una posizione simile a quella espressa oggi da Eliha Alexander Meloni. Francesco, ha detto il rabbino capo della comunità ebraica di Trieste, “è stato estremamente problematico per il mondo ebraico. È un Papa che ha risvegliato certe tensioni nel rapporto tra ebraismo e cristianesimo, di cui abbiamo risentito molto soprattutto dopo il 7 ottobre, nelle sue prese di posizione. Anche se devo dire che il suo ultimo intervento, quello che ha fatto ieri, l’ho percepito un po’ come una forma di presa di coscienza che effettivamente si era addentrato in un cammino pericoloso”.
Molto diverso il commento del Rabbino Capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni: “Dopo una lunga malattia, sopportata con la sua grande forza, papa Francesco ci ha lasciato. Il suo pontificato è stato un importante nuovo capitolo nella storia dei rapporti tra ebraismo e cattolicesimo, con aperture a un dialogo talvolta difficile ma sempre rispettoso. Ricordo le numerose occasioni in cui l’ho incontrato, segnate sempre da simpatia, attenzione e confidenza. Con la mia comunità esprimo cordoglio per la sua scomparsa e sentite condoglianze al mondo cattolico”.
“Una strada tracciata che deve continuare all’insegna del dialogo tra le religioni e le fedi. Non è facile, ma è molto importante. Come credo sia importante che proprio il Papa e la Chiesa si siano presi carico e responsabilità di mettere in evidenza l’antisemitismo crescente”, ha detto da parte sua Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane. “La voce del Papa su questo ha responsabilizzato tutti quanti a valle. Chiaro che come questo antisemitismo sia collegato alle vicende di Israele e della guerra a Gaza, è la parte più difficile di cui farsi carico – ha precisato la presidente Ucei -. E su questo gli sforzi di tutti sono concentrati. La sua scomparsa lascia un vuoto immenso. Anche per la comunità ebraica è così, ed è sempre stato così nei secoli – ha aggiunto Di Segni -. Tutti stiamo vivendo un percorso e un momento di grande crisi. Cambiamenti epocali, crisi mondiali. La riflessione su come dobbiamo darci l’imperativo di raggiungere la pace anche attraverso le sue parole, ovviamente è più difficile e più profonda”.
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