Umbria

C’è un prima e un dopo: addio a Papa Francesco


di Maurizio Troccoli

C’è un prima e un dopo queso Papa. Provvidenzialmente arrivato dalla fine del mondo a ‘riparare una chiesa’ col nome di Francesco. Quella Chiesa universale allora percepita in mano a gerarchie e mondanità che allontanano la fede in un Occidente sempre più secolarizzato e percepita come indifferente a quanto di interessante sta tuttora avvenendo, per la spiritualità, nelle terre lontane e tra i giovani. Papa Francesco, ha compiuto una scelta, l’umiltà, consapevole che avrebbe ricondotto la Chiesa Universale sulla via opportuna. Così è stato e ora si pensa al dopo Francesco, auspicando che avvenga sul sentiero da lui tracciato.

Bergoglio è morto lunedì mattina, il giorno successivo alla Pasqua del 2025, alle 7.35 circa nella sua stanza di Santa Marta. Inutile richiamare il simbolismo profondo che esprime il transito al cielo nel giorno della Pasqua, dopo un calvario, una via crucis, quella del pontefice di questi mesi, con diverse crisi che l’hanno visto sofferente e, però, fino all’ultimo istante in mezzo alla sua gente. Con quel braccio che appariva quasi paralizzato, ma pur ancor capace di benedire il popolo di Dio riunito a San Pietro in occasione della Pasqua, con un profondo sentimento di tenerezza. Che induceva a rifiutare ciò che la sagoma di Francesco suggeriva: ovvero il poco tempo che gli mancava qui. Una malattia che Francesco ha percorso con solida fede, quella di un gesuita, che conosce il senso profondo della fede, nell’affidarsi. Quel corpo sempre più appesantito sull’anima tenace di Francesco, ha avuto la meglio solo nell’ultimo istante.

Francesco è stato una porta apertissima, forse la porta più aperta che la Chiesa abbia mai avuto dalla sua fondazione. Aperta quanto il suo messaggio di ristabilire un equilibrio tra l’essere umano e il divino, senza il quale è l’uomo a soccombere. Un messaggio che non poteva che essere dialogo. Con tutti, anche quando la voce non c’è più. Papa Francesco lascia questo mondo con un ultimo appello: cessi il fuoco, la pace è sempre possibile.

La Chiesa dopo di lui sarà una gerarchia liberata da un conservatorismo soffocante. Francesco ha saputo convivere alla compresenza di un altro papa. Ai potenti tentativi di attacco da dentro e da fuori, nell’epoca della comunicazione più forte di ogni tempo. Ha vinto le resistenza che lo volevano pontefice nella forma oltre che nella sostanza, mentre la sua tenacia ci fa oggi percepire quella cameretta di Santa Marta quasi come luogo naturale. Un abisso rispetto allo scandalo che all’inizio si diffuse per l’abbandono dell’appartamento pontificio di San Pietro. Un abbandono che segna anche la sua morte: sarà il primo pontefice a essere sepolto a Santa Maria Maggiore e non a San Pietro, se sarà rispettata la sua volontà espressa. Santa Maria Maggiore è quella chiesa che tanto ha amato e a cui ha fatto visita in ogni occasione, anche furtivamente. Incursioni che ha riservato ai poveri, agli ultimi, a quanti gli scrivevano lettere e che improvvisamente venivano raggiunti da una sua telefonata, senza intermediazioni. Incursioni che sono stati plateali, come quella in solitario nel pieno della pandemia in San Pietro deserta. Francesco non ha rotto tutti i protocolli soltanto con le occasioni pubbliche, ma anche con l’intellettualismo, il mondo della cultura, della conoscenza e della scienza. Dirette sono state le sue relazioni con molti di questi esponenti e il modello è stato un po’ quello che tutti hanno potuto apprendere quando incontrava i giornalisti in aereo. Un dialogo alla pari e una naturale propensione all’ascolto che abbatte qualsivoglia barriera a ogni legittimo possibile quesito.

La Chiesa dopo Francesco sarà più democratica e internazionale, solidamente appoggiata ai continenti lontani. Più aperta alle donne, con valide premesse al superamento di resistenze non semplici nella tradizione. Cambiamenti che avverranno tra i religiosi, tra i laici, nelle famiglie, ovvero quella chiesa praticata che tanto Francesco ha amato. Come quella di strada, degli ultimi a cui ha dedicato, senza indugi, ogni opportunità di riflessione, incaricandosi di esporre simboli di scandalo.

Prima del suo sorriso, della sua abilità diplomatica, del determinismo decisionale rivoluzionario, prima della tenerezza che ne ha tracciato il profilo, e della dolcezza che l’ha visto abbracciare bimbi e malati, prima ancora della sua fisicità con la gente ’un pastore che ama l’odore delle pecore’, di Bergoglio sarà ricordata la semplicità: si è compiuta cioè la missione originaria e profetica di quel nome. Rispetto al quale la chiesa, il mondo, continuerà a fare i conti.

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