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Vittorio Feltri ha scritto il libro di cucina che ci saremmo aspettati da lui

Vittorio Feltri pubblica “Mangia come scrivi”, in collaborazione con Tommaso Farina: un viaggio tra 35 ristoranti di “alta cucina del nord”.

Vittorio Feltri ha scritto il libro di cucina che ci saremmo aspettati da lui

La bibliografia di Vittorio Feltri si arricchisce di un nuovo volume. Stavolta non un saggio, né un libro di memorie, né un’esaltazione dell’Atalanta, bensì, un libro di cucina: “Mangia come scrivi” è stato scritto a quattro mani col critico gastronomico Tommaso Farina, ed è una guida a 35 ristoranti tra Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia che vuole definire, come sottotitola il libro “l’alta cucina del Nord”.

Posto che tra i due autori quello gastronomicamente più autorevole è senza dubbio Farina, se avevate dubbi su cosa c’entrasse Feltri coi libri di cucina, sappiate che li condividete con Isabella Fantigrossi, giornalista del Corriere della Sera che l’ha intervistato che è partita chiedendo proprio questo. La risposta?

«Io ragiono con la testa da giornalista. Mai nessuno ha scritto un libro sulla cucina del Nord: si parla solo di Puglia, Sicilia, Napoli. Ma anche qui c’è una cucina di livello da raccontare: giusto restituirle dignità”. Probabilmente Fabiano Guatteri o Cesare Battisti (sono i primi due esempi che mi vengono in mente, e siamo solo a Milano), avrebbero qualcosa da dire al riguardo ma, si sa, l’ex direttore di Libero non ama essere contraddetto.

L’intervista a Feltri

Pizza e spaghetti al pomodoro? “Tutte schifezze”. La cucina italiana dovrebbe essere rappresentata da “i pizzoccheri. Sono molto buoni. Da bergamasco li ho scoperti quando il Corriere mi mandò da inviato a seguire l’alluvione in Valtellina”.

Feltri conferma la sua fama di persona tutt’altro che golosa: “sono un inappetente. Ho sempre mangiato cose frugali che mi servissero per il sostentamento. Sa di che cosa mi nutro ogni giorno? Un uovo a mezzogiorno e uno la sera: lo metto in un bicchiere, verso il Marsala, con una forchettina giro, infine bevo. Poi un bicchiere di latte, a pranzo e a cena. Non mangio altro, né carne né pesce”.

Un Feltri vegetariano quindi? Non proprio: “c’è un motivo sanitario che mi impedisce di mangiare il pesce: il mare è pieno delle deiezioni degli 8 miliardi di persone che abitano questa terra”.

E la carne? “Non mi va di ammazzare gli animali. Io li amo tutti. Anche i topi. Ne ho persino allevato uno piccolino in casa anni fa, quando lavoravo al Corriere. Finivo tardi, mia moglie mi lasciava sempre qualcosa da mangiare in sala da pranzo. Una sera alzai lo sguardo, e sulla poltrona di fronte a me trovai un topolino che mi guardava: aveva gli occhietti che sembravano capocchie di spillo, mi fece simpatia. Così sminuzzai un po’ di grana e glielo portai. Per tre mesi tutte le sere, puntuale, il topolino veniva a farmi visita. Da bambino, comunque, mangiavo quello che passava il convento, poi capii: mia nonna aveva dei coniglietti, mi piacevano molto, ma lei ogni tanto ne ammazzava uno per mangiarlo. Una cosa disgustosa”.

Eppure, nonostante l’inappetenza, Feltri apprezza i ristoranti: “è una forma conviviale che non tramonterà mai”. I suoi preferiti? “Il Baretto” a Milano dove, due volte al mese, ospita Alberto Stasi: “lui può uscire dal carcere di giorno perché lavora come contabile in un’azienda. Quando accadde il fatto, ero il direttore di Libero, mi resi subito conto che con il delitto non c’entrava niente”.

Nonostante l’avversione verso il pesce, Feltri ritiene “Da Vittorio” a Brusaporto, il miglior ristorante d’Italia: “conoscevo Vittorio Cerea, mangiavo da lui quando aveva il ristorante a Bergamo. Andavo la domenica sera con i figli”.


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