Vita e lavoro: un equilibrio precario per più di due italiani su dieci
Vita e lavoro sono due sfere che sempre più si amalgamano e, al contempo, si respingono. Da un lato, gli strumenti digitali permettono di lavorare da casa e di essere più flessibili. Dall’altro, il compromesso è sempre più labile. Nessun diritto alla disconnessone, difficoltà a tracciare una linea di separazione netta o, semplicemente, di trovare il tempo per tenere tutto insieme. Il cosiddetto “work- life balance”, l’equilibrio (precario) tra vita e lavoro degli italiani, è indagato dall’Osservatorio di Jointly, B Corp nel settore del corporate wellbeing, e Modus, team di professionisti e consulenti aziendali.
La ricerca
Lavorare e al contempo occuparsi dei figli, del rapporto di coppia o dei genitori anziani. O magari, tutte queste cose insieme. Secondo la survey condotta su centinaia di dipendenti di 15 grandi aziende italiane, è un tema critico per oltre il 20% degli impiegati, quadri e dirigenti. Altri aspetti delicati sono i rapporti complessi e conflittuali con i colleghi (indicato dal 15% dei lavoratori) e le difficoltà legate allo sviluppo professionale e al coinvolgimento nelle dinamiche aziendali (12%).
Differenze generazionali
Le difficoltà poi, indaga la ricerca, cambiano a seconda dell’età delle lavoratrici e dei lavoratori. Per GenZers e Millennial under 30 le difficoltà principali riguardano la capacità di comprendere e gestire le dinamiche organizzative delle aziende nelle quali iniziano a lavorare: una criticità che in molti casi finisce per impattare fortemente anche sulla loro voglia di restare in azienda. I lavoratori di età compresa tra i 30 e i 50 anni avvertono, invece, una maggiore fatica nel gestire i carichi di cura familiari, provando spesso sensi di colpa e di frustrazione rispetto alla priorità del lavoro, mentre gli over 50 vivono in molti casi una sorta di crisi identitaria di difficoltà nel vedere riconosciuto il loro ruolo, il proprio posto in ufficio.
L’epoca del turnover
Intanto il tasso di engagement ai minimi storici (4%), mentre il turnover è ormai cronico (42%). Secondo Francesca Rizzi, ceo e co-founder di Jointly, per supportare i dipendenti, non basta limitarsi ad offrire servizi di sostegno psicologico: “Così facendo si interviene sui sintomi e non sulle cause del malessere”, spiega. È necessario “passare dalla cura del sintomo alla prevenzione del problema: attivare un supporto di professionisti che non sono solo psicologi e psicoterapeuti ma anche counsellor organizzativi, cambiando approccio e offendo un sostegno efficace attraverso un processo di empowerment”. Ma, perché questo accada, conclude la ceo, “l’ascolto deve diventare parte della cultura manageriale, non solo uno strumento isolato”.
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