Lazio

Undici nuovi sacerdoti ordinati da Papa Leone XIV

Undici nuovi presbiteri sono stati ordinati ieri, sabato 31 maggio 2025, nella Basilica di san Pietro da papa Leone XIV durante la Messa che ha avuto inizio alle 10. Sono undici preti dai 28 ai 49 anni, formatisi quattro al Seminario “Redemptoris Mater” e sette al “Pontificio Seminario Romano Maggiore”. 

Meno di un anno fa furono ordinati diaconi e promisero di servire il popolo di Dio con umiltà e carità, di annunciare con le parole e con le opere quella fede che dovranno per tutta la vita preservare in una coscienza pura, di essere fedeli alla preghiera e di conservare il celibato per una maggiore libertà nel servizio a Dio e al prossimo. Promisero di vivere come Gesù in una continua offerta di sé. Il loro entusiasmo e il loro fervore avranno bruciato ogni ostacolo in questi mesi appena passati, ne sono certo, e come diaconi avranno già messo alla prova le loro capacità pastorali. 

Ora però il Signore li ha chiamati a salire un gradino nel presbiterato, da dove avranno uno sguardo più ampio sulle necessità delle anime e sulla vastità dei campi da seminare o da preservare. Avranno un’aria ancora più pura in cui respirare, più vicini al volto sorridente del Padre, e gusteranno, sicuri tra le braccia di Gesù e Maria, doni più intensi e profondi; avranno anche da sostituire nella loro missione, loro che sono così pochi, i 25 confratelli che andranno tra pochi mesi in pensione.

Saranno collaboratori del vescovo in spirito di filiale obbedienza e scopriranno la fecondità apostolica di confessare e celebrare la Messa con il popolo di Dio e per esso. La carità verso i poveri, i sacramenti, la predicazione e ogni altra missione nella vita di fede non saranno però il centro della loro vita sacerdotale, perché riusciranno a occuparsi di tutto solo se lasceranno che lo Spirito Santo li trasformi e siano ciò che è stato Gesù: vittime a favore dell’umanità. 

Vittima vera è solo Cristo, ma tutti i cristiani sono chiamati a unirsi a lui per la salvezza del mondo, e in particolare lo sono i sacerdoti. Siamo “corpo di Cristo”, siamo corpi e anime attraverso cui Gesù continua a essere presente in mezzo agli uomini; viviamo la sua vita, perché la nostra sia da lui trasformata.

Dice infatti la preghiera centrale della Messa, rivolgendosi al Padre: 

«Guarda con amore e riconosci nell’offerta della tua Chiesa la vittima immolata per la nostra redenzione; e a noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo, in Cristo, un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito, … Per questo sacrificio di riconciliazione, dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero…» (Preghiera eucaristica III). 

Il mondo è lontano da Dio, non sente dolore per i propri peccati, non partecipa del dolore delle vittime, né dello strazio delle anime dei persecutori; non conosce il dolore che prova Dio a osservare i suoi figli immersi nell’odio reciproco e nella sofferenza più atroce. Chi è chiamato a collaborare con lui alla salvezza dell’umanità non può non provare orrore per ogni peccato, prima di tutto i suoi propri, e non può non sentire in sé quel dolore del Cuore di Dio in cui risuona il grido di ogni martire e di ogni innocente.

Essere vittima significa accogliere – ed è sentimento profondo e reale – il dolore che ogni peccato produce nel mondo, per gridare pietà per tutti gli uomini e le donne del nostro tempo. Non si è vittima perché ci si è rassegnati al male che domina il mondo, né perché si è scelta la sofferenza come mezzo di personale perfezione, illudendosi di essere eroi o nati già santi. È invece la scelta di rimanere fedeli all’amore per cui siamo stati creati a rendere vittima ogni cristiano, a purificare l’odio nascosto in ogni peccato, a consumare l’anima di chi sente una gioia inaspettata, nascosta sotto la sofferenza accolta per amore. 

Amare Dio procura dolore: perché purifica e distacca da ogni affetto ed eleva la nostra umanità, facendole provare desideri più grandi di ciò a cui la nostra natura potrebbe aspirare; perché riempie cuore e mente di compassione, fa sentire lo strappo da Dio che ogni peccato procura all’anima umana e fa provare vergogna della propria passata e presente freddezza. La scelta di essere disposti a soffrire non è che l’aspirazione a vivere quell’amore che è la vita stessa di Dio. Non sto parlando dei dolori delle anime mistiche, delle visioni di un san Francesco o di Padre Pio, ma di ciò a cui non può sottrarsi chiunque abbia accolto l’invito di Dio a farsi suo amico e confidente.

È questo ciò a cui sono chiamati gli undici fragili esseri umani che Dio ha reso oggi suoi collaboratori della nostra salvezza. Io li ringrazio di cuore per la loro risposta e chiedo a Dio che li protegga e li illumini, perché ardano d’amore e sentano già sulla terra la dolcezza che ci attende, definitiva e completa, quando saremo tutti per sempre in paradiso.

Grazie

Andrea Alessi, 

Gabriele Di Menno Di Bucchianico, 

Francesco Melone, 

Cody Merfalen, 

Pietro Hong Hieu Nguyen, 

Federico Pelosio, 

Marco Petrolo, 

Matteo Renzi, 

Giuseppe Terranova, 

Simone Troilo 

ed Enrico Maria Trusiani!

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