una parodia degli slasher horror di Suda51 e Swery
Da un gioco partorito dall’amplesso creativo di SUDA51 e SWERY cosa ci si potrà mai aspettare? Ah, per la cronaca, sono gli autori rispettivamente di Killer7 e di Deadly Premonition, giusto per dirne un paio (Killer 7 su Steam si è pure aggiornato a sorpresa). Dicevamo: quale creatura potrà nascere dai geni congiunti di artisti così incontrollabili? Ovviamente una sfrenata cornucopia di follia e nonsense. Per essere precisi, una “parodia horror roguelike slasher“, volendo ripetere a menadito la definizione che il sempre sorridente SWERY ha scandito a chiare lettere in una breve chiacchierata durante la GDC 2025, occasione nella quale ho potuto provare anche una brevissima demo di questo “enfant horrifique”: Hotel Barcelona.
L’amore per il caos e la follia
“Il gioco nasce da una collaborazione tra me e Suda51” – mi dice felice Hidetaka Suehiro – “volevamo combinare il nostro amore per il caos e realizzare un’esperienza che potesse intrattenere i giocatori quanto più possibile“. Per chiarire meglio il concetto, l’interprete che ha permesso a me e a SWERY di comunicare (purtroppo non parlo ancora il giapponese) ha fatto ricorso all’espressione inglese “double the trouble” che in pratica si usa quando ironicamente si fa riferimento a un gran quantitativo di guai.
Ed è proprio in un gran pasticcio che si caccia Justine, la protagonista di Hotel Barcelona, una giovane US Marshal che purtroppo pare strettamente connessa a una personalità alquanto sadica e maligna, alias Dr. Carnival, che sostanzialmente è un maniaco omicida. Peggio per lei, meglio per noi. Indagando sulla presenza di (altri…) serial killer nell’hotel che dà il nome al gioco, l’agente ci finisce intrappolata e tra uno smembramento e l’altro farà anche la conoscenza di tipetti poco raccomandabili, tutti assolutamente strambi.
L’alberghetto sovrannaturale del resto possiede anche zone tranquille, come il Casinò, dove scambiar qualche parolina con i vari NPC. SWERY sottolinea: “nell’Hotel ci sono diversi personaggi, con la loro assurda personalità e la loro storia. Interagire con loro ti permette di scoprire chi sono, ma anche di aggiungere ulteriori tasselli alla trama o svolgere attività utili alla progressione, come comprare armi. Con questi personaggi volevamo creare una parodia totalizzante degli slasher horror“.
Ne ho incontrati pochi, nel corso della demo, ma già mi è bastato per farmi un’idea del cast. Vi basti sapere che con uno di questi (vestito alla stregua di un membro di The Rocky Horror Picture Show) occorre sfidare la sorte per potenziare un’arma: bisogna mettere in palio le proprie risorse, nella speranza di pescare una carta vantaggiosa. Capite bene che in un simil-roguelite abbandonarsi al gioco d’azzardo non è proprio una idea saggia, ma è difficile resistere alla tentazione. Io ho ceduto e ho perso, ma questa è un’altra storia.
La risorsa migliore sei tu
Sì lo so che il titolo di questo paragrafo sembra una frase motivazionale, ma riassume davvero il pilastro fondante del gameplay. Tra poco ci arriviamo. Di base Hotel Barcelona è un action a scorrimento orizzontale che ci chiede di sventrare e squartare a oltranza ondate di psicopatici, tutti armati differentemente (alcuni disgraziati hanno anche i fucili) e tutti diversamente pericolosi.
A parte il character design grottesco, l’atmosfera che recupera quella degli horror grandguignoleschi di serie B e l’ambientazione ispirata agli Appalachi, niente di particolarmente nuovo sotto il sole: si usano varie armi – dall’ascia alle lame rotanti – per sbudellare i nemici e recuperarne come trofeo ossa, denti e orecchie (sono alcune delle risorse spendibili nel gioco per guadagnare talenti), si salta, si schiva, si sfruttano strumenti dalla distanza, il cui tempo di attivazione un po’ lento ne impedisce l’abuso, e così via. L’intuitività è il punto di forza della produzione, e anche se qui e lì qualche inciampo della telecamera e di sovrapposizione degli elementi a schermo impedisce una piena lettura dell’immagine (rendendo la vita ancora più complicata), tutto sommato pare che ci siano gli ingredienti giusti per divertirsi a sufficienza senza troppe pretese.
In ogni partita, in alto a destra sullo schermo è possibile vedere una sorta di mini mappa che mostra delle porte interconnesse, ognuna delle quali conduce Justine in una nuova area. La meta conclusiva sarà comunque sempre la stessa: il boss di fine livello. Il modo in cui arrivarci è una scelta che spetta al giocatore: “Ci sono diverse abilità che si possono ottenere a seconda delle porte nelle quali si entra” – specifica SWERY “ad esempio, potrete guadagnare maggiore velocità, ottenere colpi più forti, recuperare i punti vita. E tutti questi elementi restano con Justine fino al boss di fine area. La conformazione della mappa è sempre la stessa ma ci sono alcuni elementi casuali: in determinati stage il numero di nemici e la complessità della sfida dipendono da vari fattori, come il clima e l’orario del giorno che influenzano la difficoltà delle prove“.
Sì perché dopo ogni ripartenza da una sconfitta, ci saranno tre variabili da considerare: l’ora, il meteo e la dimensione della protagonista. Le prime due sono autoesplicative, mentre per la terza vale la pena specificare che esistono ulteriori tre possibilità: Justine può combattere rimpicciolita, nella sua versione normale, oppure ancora con una grandezza sopra la media umana. Sono fattori che, al prezzo di apposite monete, possono essere modificati dal giocatore all’inizio di ogni run, per far in modo che ci sia maggiore controllo sulla partita in corso e non ci si affidi solo alla casualità. Se è vero che essere giganti ha i suoi benefici in termini di efficacia delle mazzate ad ampio raggio, bisognerà valutare comunque il suo effettivo impatto nelle singole situazioni. Ad esempio nel corso della mia prova, la “Big Justine” che ho potuto controllare al terzo tentativo mi ha messo un po’ troppo alla mercé dei colpi dalla distanza, dato che rappresentavo un bersaglio alquanto difficile da mancare. Per il mio stile di gioco – colpisco/schivo/scappo – essere possente non si è dimostrato necessariamente un vantaggio.
E a proposito di stile di gioco… siamo arrivati al cuore del gameplay di Hotel Barcelona. Dopo ogni sconfitta, riprenderemo l’avventura in compagnia del fantasma delle nostre azioni passate. Lo spettro compie esattamente le mosse che abbiamo eseguito nella partita precedente: non è controllato dall’IA, si badi, ma è la precisa riproduzione del nostro comportamento. Uno specchio di noi stessi che combatte al nostro fianco.
Più tempo saremo sopravvissuti, più potremo godere della nostra stessa compagnia, a patto comunque di seguire il medesimo percorso battuto la volta scorsa. “Di solito i roguelike si basano prevalentemente sui materiali e le risorse accumulate nelle partite precedenti” – evidenzia SWERY – “ma questa volta volevamo focalizzarci sul tempo di gioco effettuato nella partita precedente“. Il tempo è insomma una delle nostre maggiori risorse, perché avere come alleato il nostro alter ego può davvero facilitarci la vita nelle aree gremite di squilibrati assassini. Ne consegue che da un (inevitabile) fallimento può sbocciare un approccio tattico utile per i futuri tentativi.
Già nella prima mezz’ora con Hotel Barcelona ho assistito a non poche stramberie (sfiziosi i filmati rétro che accompagnano di tanto in tanto l’avanzamento) e siccome nel gioco finale i killer – e quindi le relative macro mappe – dovrebbero essere 7, la speranza è di vederne delle belle. Chi conosce i due autori, in ogni caso, sa già cosa potrebbe venir fuori: non un prodotto rifinito alla perfezione, né il nuovo messia del genere, ma magari un’esperienza con carattere da vendere.
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