“Sia garantito il diritto sancito dalla legge 194 in Abruzzo”
“Il 12 marzo, come racconta il Collettivo Zona Fucsia, una donna si è recata presso l’ospedale di Vasto per richiedere un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), ma sarebbe stata accolta con un trattamento inaccettabile. Secondo quanto riferito, la paziente sarebbe stata isolata in un corridoio, oggetto di sguardi giudicanti, e le sarebbero state fornite informazioni false e ideologiche. In particolare, la caposala le avrebbe detto che l’aborto non era possibile “perché bisognava prima sentire il battito del feto” e che “era troppo presto” per intervenire. Queste affermazioni sono scientificamente errate e gravi – sostengono in una nota i Giovani Democratici Abruzzo -. L’interruzione della gravidanza è legale e possibile anche nelle prime settimane, molto prima che si possa rilevare un battito cardiaco, che in quel periodo è solo un’attività elettrica, non un cuore che pompa sangue. Pertanto, l’affermazione che fosse “troppo presto” per procedere è completamente infondata. Queste dichiarazioni non sono un caso isolato, ma evidenziano un problema sistemico nelle strutture sanitarie, dove l’obiezione di coscienza e le convinzioni personali di alcuni operatori sanitari spesso ostacolano l’accesso all’IVG, ignorando la legge 194/78 che garantisce questo diritto”.
“Il primario dell’ospedale di Vasto ha smentito quanto denunciato, sostenendo che la donna è stata trattata “come tutte le altre” e che le informazioni ricevute erano corrette. Ha poi aggiunto che, a causa della carenza di medici non obiettori, l’ospedale ha temporaneamente sospeso la possibilità di praticare l’aborto. Questa giustificazione mette in luce una carenza di personale non obiettore, facendo di fatto di un diritto un privilegio riservato a poche e rendendo impossibile avere accesso a un diritto – proseguono le e i Giovani Dem -. La situazione denunciata non riguarda solo l’ospedale di Vasto, ma riflette un fenomeno più ampio di resistenza all’applicazione della legge 194 in Abruzzo. La carenza di medici non obiettori e la diffusa disinformazione stanno creando ostacoli concreti per le donne abruzzesi che cercano di accedere a questa pratica sanitaria, compromettendo gravemente la loro libertà di scelta e la loro salute. È fondamentale che il sistema sanitario pubblico abruzzese garantisca il rispetto della legge e l’accesso equo ai servizi previsti, senza influenze ideologiche da parte degli operatori. Il diritto all’aborto è sancito dallo Stato e deve essere tutelato in modo imparziale e professionale in ogni ospedale, senza che convinzioni personali possano compromettere il diritto delle donne a decidere sul proprio corpo e sulla propria vita. Non possiamo più tacere su questo clima reazionario e lesivo dei diritti delle donne così come garantiti dalla legge 194. Per questo l’8 marzo abbiamo partecipato al grande corteo transfemminista di Pescara. Continueremo a lottare nelle piazze e nelle istituzioni e chiediamo che si sommi l’intervento in consiglio regionale dei consiglieri del Patto per l’Abruzzo, per portare nelle istituzioni un caso tanto grave”.
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Sul dibattito interviene anche il dotto. Alberto Virgolino, presidente di Aigoc, comitato Pro-life insieme: “Non entro nel merito – non essendo a piena conoscenza dei fatti – della vicenda raccontata dalla donna che in modo anonimo ha denunciato un comportamento a suo dire non rispettoso nei suoi riguardi da parte del personale dell’ospedale al quale si era rivolta per praticare un aborto volontario lo scorso 12 marzo. Mi sorgono però alcuni quesiti: la donna, intenzionata ad abortire, aveva avuto, prima di recarsi in ospedale, un colloquio con un medico del consultorio o di Medicina generale (“di sua fiducia”), come prevede la legge 194 agli artt. 2 e 5? Era stata compiutamente informata sulle possibilità di scelta alternativa all’aborto, secondo l’art.5? Aveva effettuato un esame ecografico preliminare per documentare la presenza nel suo utero di un bambino di cui stimare (o confermare) l’età gestazionale, e verificarne la vitalità attraverso la registrazione del battito cardiaco fetale (BCF) con gli ultrasuoni? Sì, perché è dirimente vedere l’attività cardiaca presente nel feto per poter certificare che si tratta di un essere umano (aggettivo non opinabile!) vivo. Altrimenti, se fosse già morto (senza percezione del BCF), l’iter medico esulerebbe da quello della IVG che si effettua su un essere umano vivo, appunto. Dispiace pertanto, cogliere la grave disinformazione – questa sì – da parte del Collettivo di Zona Fucsia, su questo aspetto medico scientifico: il BCF non è un’invenzione degli anti-abortisti, funzionale alla loro propaganda!”
“Mi permetto anzi, su questo punto, di aggiungere altre utili informazioni mediche, di embriologia umana, per dare maggiore consapevolezza del fatto che ognuno di noi ha cominciato ad avere un organo cardiaco “battente”, cioè pulsante, già a 18 giorni dal concepimento! Insieme al sistema nervoso centrale, il cuore è il primo organo a formarsi nell’embrione, proprio perché grazie alla sua attività pulsatile deve mettere nel circolo sanguigno in formazione tutte le sostanze nutritive che, con l’ossigeno, gli giungono dal sangue placentare della madre, e gli sono necessarie per lo sviluppo di tutti gli altri organi – continua Virgolino -. C’è dunque alla base, un problema di disinformazione, forse voluta – questa sì – per sostenere un ostinato atteggiamento ideologico a difesa della libertà di scelta della donna verso una direzione unica, senza altre soluzioni, quella dell’aborto volontario. Su queste false premesse, hanno gioco facile le sollecitazioni ideologiche al rispetto della legge 194 come espressione di un “diritto” della donna all’aborto volontario! Anche in tal senso, vengono (volutamente?) ignorate le parole scritte nel 1° articolo di quella legge: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”. È l’affermazione inequivocabile del diritto della donna alla maternità, tutt’altro che “diritto all’aborto”.
“La pretesa poi, che il medico debba rinunciare al suo diritto – questo sì costituzionalmente riconosciuto e contemplato dall’art. 9 della stessa L. 194 – all’“obiezione di coscienza”, quale ostacolo alla libera scelta della donna di abortire volontariamente, è un tormentone che da vari anni è stato portato avanti anche dalla Cgil (fino alla Corte di Giustizia europea!) nel tentativo di cancellarlo dalla stessa legge. Pur ammettendo questa strumentale ipotesi, ma che non viene dimostrata dai dati che vengono riportati nella Relazione annuale del Ministero della Salute al Parlamento italiano sull’applicazione della L. 194, l’“obiezione di coscienza” del medico è sicuramente un deterrente benefico per la salvaguardia della vita nascente che purtroppo non si vuole riconoscere ed accogliere come il bene più prezioso, non solo per la madre ma per tutta la società! Almeno il grave problema della denatalità dovrebbe smascherare questa subdola ipocrisia! Del resto, se con l’IVG non fosse in gioco la vita di un altro essere umano, inerme ed indifeso, il medico non porrebbe affatto la sua “obiezione” contrastando, suo malgrado, la volontà della donna che non accetta la sua maternità! Tornando nel merito del battito cardiaco fetale, mediante il quale si rileva ecograficamente, ossia con gli ultrasuoni (non con elettrodi per ECG!) la vitalità inequivocabile dell’embrione, questo esame dovrebbe essere un rilievo diagnostico che il medico ecografista è tenuto a documentare anche alla madre, indipendentemente dall’essere obiettore o non obiettore di coscienza. Si tratta infatti, di un atto che rientra nella formulazione del “consenso informato” che ogni atto medico deve comprendere. L’esperienza personale e di altri colleghi ginecologi ecografisti che abbiamo rispettato questa norma deontologica, mostrando alle donne che avevano intrapreso l’iter per l’IVG, la vitalità dell’embrione attraverso i suoi movimenti attivi oltre il suo BCF, possiamo documentare che quasi sempre il bambino, riconosciuto visivamente, viene accolto dalla mamma pur nella sua difficoltà contingente che l’avrebbe portata a rinunciare a quel suo figlio. In effetti l’iter per l’IVG, trattandosi di una decisione di importanza vitale – nel vero senso della parola – per la L.194 comporta vari passaggi prima di giungere all’intervento definitivo, chirurgico o farmacologico. La donna è libera, fino all’ultimo istante di ripensare alla sua scelta iniziale e accettare infine di proseguire la sua gravidanza. Pertanto, dopo il passaggio dell’esame ecografico, la donna avrebbe, ed ha effettivamente, modo di ricredersi liberamente rinunciando all’IVG”.
“L’efficacia in tal senso, di questo rilievo ecografico preliminare all’aborto volontario (già evidente alla 6^ settimana di gravidanza con ecografia per via transvaginale), è stata ampiamente documentata in quegli Stati in cui lo hanno reso obbligatorio. In alcuni Stati federali degli USA infatti, la maggioranza delle donne, hanno rinunciato all’aborto volontario – conclde -, senza avere conseguenze sulla loro salute psico-fisica, a differenza di quelle che hanno portato fino in fondo la loro scelta abortiva”.
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