Sfide, Opportunità e il Ruolo dell’Internalizzazione”
Indagini, proposte di legge e interrogazioni parlamentari: il futuro della logistica, da qualche mese a questa parte, sembra sia pieno di ombre e di dubbi. Questi avvenimenti hanno certamente rappresentato una scossa per il settore e per i suoi tanti mercati, ma anche una grandissima opportunità.
A livello generale, il fatto che l’autorità pubblica si sia occupata della logistica, che ci siano stati giudici che hanno voluto verificare la correttezza di certe dinamiche consolidate, che il governo si sia preoccupato di comportamenti diffusi nel settore, che il parlamento ne abbia discusso, è stato – ed è ancora – molto positivo. Ciò fa parte delle corrette dinamiche di gestione di qualunque attività rilevante per il Paese e che la logistica abbia rilevanza nel nostro, come in tutti i Paesi del mondo, è una realtà che il Covid-19 ha reso manifesta.
Da quando tutto ciò è accaduto, quello che potremmo definire “rumore di fondo” su queste notizie è aumentato notevolmente, soprattutto su un punto che ritengo molto importante e che quindi vorrei provare a chiarire. Le mie idee sull’opportunità strategica, offerta da questo pur difficile momento, di ridurre enormemente la terziarizzazione appaiono infatti da alcune parti interpretate quasi come l’indicazione di una semplice panacéa capace di risolvere automaticamente ogni problema del settore. Nessuna idea potrebbe essere più lontana dalla mia visione e soprattutto, sono convinto, più sbagliata e pericolosa.
La mia visione si fonda su considerazioni micro e macroeconomiche. Semplificando, a livello micro note conclusioni teoriche ed empiriche della Teoria dei Giochi, nel cui linguaggio le imprese oggetto delle indagini hanno subito un crollo reputazionale, dimostrano che ciò può essere combattuto solo con forti investimenti diretti in reputazione. Questi hanno probabilità di successo direttamente proporzionale a due variabili: la loro coerenza con le cause del crollo e l’irreversibilità, ovvero il fatto che, una volta avviati, non sia possibile tornare indietro, né riducendoli né indirizzandoli ad altri scopi. E’ dunque ovvio come, rispetto a queste due caratteristiche, l’internalizzazione della mano d’opera sia la strategia più forte. A livello macro, però, osserviamo un ben noto problema intersettoriale: la difficoltà per le imprese di logistica di scaricare a valle una struttura di costi articolata, vedendo accettati dalla propria committenza livelli di prezzo coerenti a diversi livelli di qualità dei servizi.
E’ proprio questo il punto fondamentale nel rendere tutt’altro che semplice ed automatico il risultato di un processo di internalizzazione. Nessuno dei (seppur) grandi operatori coinvolti, infatti, si vedrà accettare dalla committenza prezzi più alti solo perché è stato virtuoso ed ha assunto direttamente. Se l’economista avesse dubbi sul piano teorico (e non ne ho), l’esperienza in una società che rappresenta una sfida aperta, nell’ambito dei servizi logistici di alto profilo, proprio su questi temi li avrebbe eliminati: in assenza di un incremento significativo della qualità dei servizi, la committenza non assorbirà mai un aumento dei prezzi medi. E tale qualità deve intendersi almeno su due livelli: quello dei “modelli di servizio” e quello della loro esecuzione (in realtà le declinazioni sarebbero molte, ma lo spazio disponibile ci impone qui di accennare solo ai temi capitali del processo).
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