Cultura

Ride – Live @ Alcatraz (Milano, 07/05/2025)

Il tour promozionale di “Interplay” fa tappa a Milano, Alcatraz. Locale che presenta la sua versione “ridotta”, ma il colpo d’occhio è buono. Ghiotta serata per il sottoscritto per rivedere un po’ di “vecchia guardia” tra i presenti e così il liveset dei Soviet Soviet non lo seguo con la dovuta attenzione, impegnato come sono a salutare a destra e a manca. Da tenere comunque sul radar i ragazzi, perché hanno un nuovo disco in arrivo e con loro si va davvero sul sicuro.

9.40 ecco che i Ride arrivano e ad aprire le danze sarà “Monaco” tratta proprio dall’ultimo album della formazione inglese. La scaletta, sopratutto nella prima parte dello show, va a pescare dalle ultime cose, mentre il finale riserverà le palpitazioni più attese da chi ha adorato i primi due dischi di Mark e soci.

I nuovi brani continuano a farmi lo stesso effetto che ho quando li ascolto su disco, un pop-rock dal taglio morbido, scorrevole, con pochi sussulti. Dovessi rappresentare visivamente i pezzi direi una macchina, una bella macchina per carità, che scorre a velocità di crociera con il tettuccio abbassato lungo un paesaggio rinfrancante. Faccio fatica a trovare graffi significativi in canzoni come la già citata “Monaco”, “Last Frontier” o “Peace Sign” e nemmeno la dimensione live le rende particolarmente avvincenti. Niente di disprezzabile, niente per cui urlare alla lapidazione, ma realmente niente che colpisca nel profondo: “Peace Sign” resta ammantata della sua dimensione radiofonicamente banalotta e “Last Frontier” non sembra neanche più un pezzo dei New Order ma viene derubricata a “filo Monaco“, il vecchio (simpatico eh) progetto di Peter Hook. “Last Night I Went Somewhere to Dream” continua, come come nella versione in studio, a girare a vuoto, mentre almeno “I Came to See the Wreck” perde quel taglio fin troppo scolastico che ha in studio e acquista in personalità.

Detto questo sembra che la serata non sia andata bene. Fermi tutti. Chiarisco che anche con i brani più recenti tutto sommato il mood è piacevole, anzi, a tratti anche coinvolgente, penso a “Lannoy Point” che dal vivo è realmente esaltante e visionaria, e acquista tantissimi punti, quindi sarei assolutamente nel torto a dire che i presenti non vedessero l’ora di arrivare ai piatti più succulenti del menù. C’è da dire però che quando la band piazza classici come “Dreams Burn Down”, terzo brano in scaletta, il cuore inizia a battere più forte e la tensione musicale in sala è elettrizzante a dire poco. Esecuzione magistrale di una brano magistrale, cartina tornasole esaltante del perché i Ride abbiano fatto scuola in quell’ambito shoegaze che ora praticamente guardano solo di lato.

La band non si risparmia, pescando da “Nowhere” e anche dai primi EP: magistrale “Lik a Daydream”, quasi furiosa “Chelsea Girl” che chiuderà il concerto. Ecco, i Ride attuali sanno perfettamente (ri) calarsi nella parte di paladini dello shoegaze e lo fanno con passione, con i volumi alti, pronti a spettinarci per bene con le distorsioni, con un Andy in forma smagliante, Mark sempre delizioso padrone di casa e la parte ritmica che, beh, vede in Steve un metronomo mai abbastanza celebrato e in Loz un Dio in terra. I momenti in cui si lasciando andare, penso al finale di “Cool Your Boots”, “Seagull” e la magistrale “Leave Them All Behind” sono d’altissima scuola: i maestri danno lezione, eseguendo tutto alla perfezione, con lo stesso taglio sonico di quando erano giovincelli ma con l’esperienza accumulata in tanti anni. Il rumore colpisce , ma è completamente gestito alla perfezione, non compresso, attenzione, è completamente lasciato libero, ma è padroneggiato in modo da risultare comunque nitido, cristallino nella sua potenza. da restare senza fiato e incantati.

“Taste” esplode nel suo trionfo melodico, “Vapour Trail” è da pelle d’oca, come sempre e, come sempre, è accolta dal boato del pubblico presente.

Il suono dell’ Alacatraz non mi ha deluso, le linee vocali, da sempre punto di forza della band, sono sempre state ben delineate con buona resa e questo fa sì che il concerto, per me e credo anche per i presenti, abbia avuto un audio più che meritevole.

Dicevo dei presenti. Età media alta, praticamente tutti della vecchia scuola pronti ad emozionarsi con i classici e pochi cellulari alzati. Cosa poi ci sia venuto a fare al concerto un tizio davanti a me, sempre col telefono in mano a guardare i dati di PSG vs Arsenal Dio, solo lo sa. Così come solo Dio può conoscere il perché i Ride si ostinino a mettere in scaletta la terribile “Black Nite Crash” da quel disastro che è “Tarantula”, che anche stasera mi suona scarsa e fastidiosamente fragorosa nel suo incedere garage-rock senza una meta. Sarebbe stato meglio ripescare qualcosa da “Carnival Of Light” a questo punto. Vabbè.

Ore 11.10 tutti a casa. Mark ringrazia e manda baci alle prime file. Sembra soddisfatto. A ragione. Per me ultimi saluti, ultimi abbracci e poi si riparte per Verona. È stata una bella serata.


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