Basilicata

Processo Jamali: «Il conducente dell’imbarcazione la scagiona»

Nell’udienza al processo a Marjan Jamali, la parola è andata alla difesa dell’iraniana accusata di essere una scafista. Tre ore di arringa per chiedere l’assoluzione, l’avvocato ripercorre documenti e testimonianze.


LOCRI – Slitta al prossimo 16 giugno la sentenza per Marjan Jamali, la 30enne iraniana accusata di essere una scafista. La donna è sotto processo al Tribunale di Locri. Insieme a lei il connazionale Amir Babai. Entrambi sono accusati di “favoreggiamento dell’immigrazione irregolare”. La sentenza era attesa per la serata di ieri, 28 maggio 2025, ma al termine della lunga elaborata arringa del difensore, l’avvocato Giancarlo Liberati, il Pm ha chiesto di replicare. Il rappresentante della pubblica accusa nell’udienza di ieri non era lo stesso delle precedenti udienze e molto presumibilmente non aveva gli elementi sufficienti per la replica. Ecco il probabile motivo del differimento della sentenza ad altra data. La donna, dagli ultimi giorni di marzo scorso è tornata libera, su decisione del Riesame di Reggio Calabria.

IL PROCESSO E LE ACCUSE

L’altro imputato nel processo in corso a Locri, Amir Babai, è tuttora detenuto. Marjam Jamali e l’altro iraniano stanno subendo un processo perché accusati, in pratica, di avere contribuito a fare arrivare di un carico di migranti di circa 100 persone, soccorse a bordo di un veliero verso la fine di ottobre del 2023, che è stato fatto sbarcare al porto di Roccella Jonica. I due viaggiavano su quella imbarcazione di fortuna e la giovane donna era insieme al figlioletto Faraz. Madre e figlio erano scappati dalla violenza del compagno di lei e degli ayatollah.

Successivamente allo sbarco, la stessa è stata accusata da tre iracheni facenti parte di quel gruppo di stranieri, di aver fatto parte dell’equipaggio del natante dei migranti, sulla quale la stessa viaggiava. L’hanno accusata e poi sono spariti. I testimoni avrebbero dichiarato il contrario dei tre iracheni. Lei ha denunciato, invece, quello che ha subito su quel veliero. Un tentativo di violenza sessuale davanti al figlioletto. Ha resistito. Un altro migrante è intervenuto per difendere la donna. Era Amir Babai. Entrambi sono finiti in carcere e stanno subendo il processo a Locri.

IL PROCESSO A MARJAN JAMALI E L’IMPEGNO DELLA DIFESA

Marjan Jamali, prima carcerata a Reggio Calabria, ha tentato il suicidio, finendo così per le cure del caso, nell’ex manicomio criminale di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. Dopo una settimana circa è rientrata nel carcere reggino. Per circa un anno Marjan Jamali è rimasta in custodia a Camini, con braccialetto elettronico, presso un’abitazione inserita nel progetto del Sistema di accoglienza e integrazione migranti (Sai), gestito dalla cooperativa sociale Eurocoop servizi s.r.l. “JungiMundu.”

In tutti questi mesi, l’avvocato Liberati si è impegnato a portare la verità a galla, suffragata dalla giusta documentazione, in grado di dimostrare l’innocenza della donna e dell’altro assistito, e riuscendo a riempire i tasselli con materiale capace di comprovare la tesi difensiva. Ma con tutto ciò, per mesi e mesi ha presentato richieste di scarcerazione per la giovane donna iraniana o di misure alternative, sempre respinte dai giudici locresi e anche da quelli del Riesame reggino. Ma prima è riuscito a riavvicinare la donna al suo figlioletto nel progetto di accoglienza di Camini.

Poi, dopo altre richieste, la donna è tornata completamente libera nei mesi scorsi. Ma con la mannaia della condanna sul proprio capo e su quello del connazionale, carcerati e processati per una ritorsione da parte dei presunti veri scafisti. E’ quanto hanno sempre confessato i due imputati nel processo di Locri e quello su cui sta insistendo l’avvocato Giancarlo Liberati.
Fino all’arringa di ieri, in una udienza durata circa tre ore, quasi tutta dedicata a lui. Dal 18 giugno del 2024, data della prima udienza davanti al Tribunale di Locri, i due imputati hanno subito oltre 500 giorni di misure cautelari.

PROCESSO JAMALI, L’ANSIA PER LA SENTENZA E LA POSIZIONE DELLA PUBBLICA ACCUSA

Palese l’ansia con la quale stanno vivendo ora Marjan Jamali e Amir Babai, soprattutto quando pensavano che ieri sarebbe tutto finito, almeno nel primo grado. E c’è l’ansia per quanto lo scorso 14 maggio ha chiesto la pubblica accusa nei loro confronti: una condanna a sei anni di reclusione e oltre un milione e mezzo di euro di multa ciascuno.

Le stesse parole della Pm, durante la sua requisitoria, nella udienza precedente, sembrano risuonare ancora nella mente degli interessati e di tante persone che per solidarietà hanno quasi sempre seguito le fasi processuali, giudicata priva di prove, e che persino è arrivata a definito Marjan «troppo calma per essere una vittima». E così, anche ieri, l’avvocato Liberati ha ripercorso tutto il processo, soffermandosi sulle verità emerse dalla documentazione acquisita, dalle dichiarazioni di testimoni chiave. E persino la testimonianza di Faruk, l’egiziano che ha confessato di essere il conducente dell’imbarcazione e che ha scagionato completamente la donna e il suo connazionale sotto processo. Ancora altri 18 giorni per conoscere la sentenza nei confronti degli iraniani Marjam Jamali e Amir Babai.

Quest’ultimo, ieri sera, 28 maggio 2025, ad udienza chiusa, è stato riaccompagnato nella cella della casa circondariale di Locri. Marjan, invece, da persona libera, ha fatto ritorno nella casa del progetto di accoglienza a Camini, dove ad aspettarla c’era il suo figlioletto di 10 anni, Faraz, occupato a seguire gli ultimi giorni di scuola, forse ignaro di tutto quello che ha attraversato e sta attraversando la madre, per assicurare anche a lui un minimo di libertà.


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