Plant dei La Sad: «Da adolescente sono stato bullizzato, ho sofferto di depressione e di dipendenza da psicofarmaci. Alcuni mostri non vanno via, ma ho imparato a conviverci»
Plant è il membro più giovane dei La Sad, il gruppo punk rock vera rivelazione dello scorso Sanremo, quando da fenomeno di nicchia sono diventati nazional popolari. La sua energia sul palco, il modo di coinvolgere il suo pubblico sono uno dei marchi di fabbrica della band e il suo look è talmente riconoscibile che è diventato iconico ed imitato dai suoi fan. Invece, Francesco, suo vero nome prima di iniziare la carriera come musicista, è un ragazzo di 25 anni che è scappato molto presto dal suo paese, Altamura in Puglia, per poter inseguire il suo sogno e sfuggire da una realtà che non era all’altezza delle sue ambizioni e della sua personalità. Se del primo si conosce abbastanza, del secondo si sa ancora poco e, forse da questa esigenza di raccontare un lato più intimo e personale, che nasce il singolo Piccolo Me. In questo brano Plant consegna al suo pubblico Francesco e non ci sono filtri o censure, ma solo una descrizione onesta, intima e sofferta.
Onofrio Petronella
Nella canzone, si rivolge al suo sé bambino. Ma com’era lei da piccolo?
«Ero un bambino felice a cui è sempre piaciuta la musica. A otto anni, mia nonna mi ha regalato una chitarra classica, che conservo ancora, così da poter iniziare a suonare che era la cosa che desideravo di più. Ero davvero solare».
Quindi, arriviamo all’adolescenza.
«Sono diventato un’altra persona. Ho iniziato a non fidarmi più della gente, sono diventato chiuso, paranoico, ansioso, negativo. Quel bambino felice di cui le parlavo prima è morto nel giro di qualche anno. Ogni tanto, torna fuori quando vivo quei momenti belli, quelli che ti danno un picco di serotonina al cervello. Ecco, per quella manciata di secondi, mi sento di nuovo quel bambino felice».
Cosa l’ha fatta cambiare così drasticamente?
«Diverse cose. Si immagini andare in giro nel 2015 con i capelli blu in un piccolo paese del Sud. Venivo insultato, preso in giro, c’era gente che bullizzava mio fratello solo perché era mio fratello, altri che citofonavano di notte a mia madre per dirle che aveva un figlio “sfigato”. Mi sentivo continuamente sbagliato».
Si è trasferito molto giovane a Milano: questo l’ha aiutata?
«A 15 anni, facevo continuamente la spola tra Milano e la Puglia. Ero anche riuscito a firmare il mio primo contratto, frequentavo, parlavo con gente molto più grande di me. Sono stato costretto a crescere velocemente, soprattutto quando quel contratto si è rivelato una grossa fregatura e mi è crollato il mondo addosso».
Però, ora è qui. Sente ancora la paura che tutto le scivoli di mano nuovamente?
«Continuamente. E ora che ho iniziato il mio progetto solista, ancora di più. Però, so di essere in buona compagnia: artisti molto più affermati e consolidati di me temono lo stesso. È che più sali in alto, e più il tonfo che potresti fare candendo si fa rumoroso».
Onofrio Petronella
Ma lei chi ha paura di deludere: sé stesso o gli altri?
«Forse gli altri perché, per anni, sono stato quello strano che non si capiva bene cosa volesse fare. Io ho messo in gioco la mia vita, tutto per fare quello che faccio. Per me, questa è la mia unica opportunità: ho i capelli blu, sono tutto tatuato, sono Plant. Mica domani posso smettere e iniziare a fare il cuoco, per dire».
Beh, però potrebbe anche non esserci solo la musica nel suo futuro. Potrebbe voler far altro.
«Sì sicuramente, ma io mi sento utile a fare questo. La mia energia, le mie vibrazioni risuonano solo quando faccio musica. Per me, è importante lasciare il segno con la musica che faccio e che scrivo. Non mi interessa il successo, l’essere famoso: io voglio solo vivere facendo il musicista».
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