Pfas: scienziati contro la modifica della definizione Ocse degli inquinanti eterni
Venti scienziati esperti di Pfas e provenienti da 18 istituti e università di tutto il mondo denunciano i tentativi di modificare la definizione chimica degli inquinanti eterni. E lo fanno in una dichiarazione pubblicata su Environmental Science & Technology Letters, segnalando le iniziative, in particolare, dell’International union of pure and applied chemistry (Iupac), l’Unione internazionale di chimica pura e applicata. “La definizione di Pfas dell’Ocse, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, è scientificamente fondata, univoca e adatta a identificare queste sostanze chimiche. Siamo preoccupati – scrivono i venti scienziati – che alcuni individui e organizzazioni stiano cercando una ridefinizione dei Pfas”. Il riferimento è a un progetto lanciato dall’Iupac con l’obiettivo di fornire una definizione “rigorosa” di queste sostanze, che potrebbe portare a “escludere alcuni sottogruppi di sostanze chimiche fluorurate dall’ambito di applicazione della definizione più ampia esistente”. E si segnala anche il ruolo del co-presidente del progetto, il professor Pierangelo Metrangolo del Politecnico di Milano che, nel suo ricco curriculum, vanta anche collaborazioni con l’industria dei polimeri e, in particolare, con l’ex Solvay, coinvolta nel processo per disastro ambientale colposo da inquinamento da Pfas attribuito al polo industriale di Spinetta Marengo.
Sara Valsecchi (Cnr): “Temiamo azioni motivate da ragioni politiche ed economiche” – Tra i firmatari della dichiarazione anche l’italiana Sara Valsecchi dell’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr. Si tratta della stessa scienziata che, nella primavera del 2011, insieme al collega Stefano Polesello iniziò una raccolta di campioni d’acqua dei alcuni fiumi che li avrebbe portati fino al Vicentino, nell’area dell’azienda chimica Miteni di Trissino, dove trovarono concentrazioni così elevate di Pfas, che i valori erano fuori scala rispetto a quelli fino a quel momento disponibili nella letteratura scientifica. Al momento, l’Iupac non ha ancora approvato nulla. “Temiamo, però, che questo sforzo e il progetto portato avanti sia motivato da ragioni politiche o economiche, piuttosto che scientifiche. Una definizione di Pfas – spiega Sara Valsecchi a ilfattoquotidiano.it – approvata dalla Iupac e potenzialmente più ristretta potrebbe conferire un’indebita legittimità all’approvazione da parte di un’organizzazione scientifica riconosciuta a livello mondiale e, di conseguenza, influenzare gli enti normativi ad adottare politiche meno protettive”. Significativa la descrizione del progetto iniziato circa un anno fa e che si può leggere sul sito dell’Iupac, nella quale si ricorda la proposta di divieto della Commissione Europea, a partire dal 2026, seguendo proprio la definizione di Pfas raccomandata dall’Ocse nel 2021. “Tale restrizione – scrive a chiare lettere l’Iupac – impedirebbe di fatto l’uso di oltre 9mila sostanze chimiche di sintesi, inclusi molti prodotti farmaceutici essenziali, e sembra quindi difficilmente fattibile”.
Cosa sono i Pfas secondo l’Ocse – Secondo gli autori della dichiarazione pubblicata su Environmental Science & Technology Letters, la definizione dell’Ocse, elaborata per rispondere alle preoccupazioni relative all’esclusione di alcune sostanze, è univoca. Nel 2021, l’Ocse ha definito i Pfas come “sostanze fluorurate che contengono almeno un atomo di carbonio metilico o metilenico completamente fluorurato, ovvero, con alcune eccezioni, qualsiasi sostanza chimica con almeno un gruppo metilico perfluorurato o un gruppo metilenico perfluorurato”. Questa definizione è arrivata in seguito a “un processo trasparente, scientifico e sottoposto a revisione paritaria che ha coinvolto esperti di Pfas provenienti dal mondo accademico, dagli enti regolatori e dall’industria chimica”, ma si basa sulle caratteristiche molecolari di queste sostanze e non indica come i Pfas debbano essere regolamentati.
La denuncia e il conflitto di interesse – Questi scienziati segnalano iniziative, all’interno dello Iupac “per la creazione di definizioni alternative” che potrebbero escludere dai Pfas i gas fluorurati, l’acido trifluoroacetico, ossia il Tfa (il Pfas – indistruttibile – più diffuso al mondo) o i polimeri. Secondo Valsecchi “una recente pubblicazione dei membri di un progetto Iupac sulla definizione di Pfas contiene diverse imprecisioni” e suggerisce la necessità di discostarsi dalla definizione di Pfas univoca e chimicamente valida stabilita dall’Ocse nel 2021. Co-presidente del progetto Iupac è il professor Pierangelo Metrangolo. “Ha collaborato ampiamente con l’industria dei polimeri – racconta Valsecchi a ilfattoquotidiano.it – dato che nel 2022 (come risulta dal suo curriculum vitae pubblicato online, ndr) è stato coordinatore del Centro di Ricerca Congiunto Polimi-Solvay Specialty Polymers e ha depositato i relativi brevetti con Solvay, un importante produttore di polimeri Pfas”. Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare il professor Metrangolo per una replica, senza ricevere alcuna risposta. Con questa pubblicazione il gruppo di venti scienziati ha l’obiettivo di spingere l’Iupac e altre organizzazioni a mantenere l’inequivocabile definizione di Pfas dell’Ocse. “Non ci sono prove che indichino che la definizione dell’Ocse sia difettosa o problematica – commenta Valsecchi – e quindi non c’è bisogno di una nuova definizione”.
Quali sono i rischi – “Molti F-gas possono persistere nell’ambiente o essere trasformati in Tfa” sottolineano gli autori della dichiarazione. E spiegano: “Se i decisori scelgono di esentare specifici Pfas, sono liberi di farlo definendo il proprio ambito di applicazione in base a obiettivi politici e normativi, idealmente con una giustificazione chiara e trasparente”, ma la definizione chimica per l’identificazione generale dei Pfas “non dovrebbe cambiare a causa di tali esigenze specifiche ed è fuorviante proporre diversamente”. Accade già. Sebbene entrambi si basino sulla definizione Ocse, l’attuale legislazione canadese sui Pfas esclude i fluoropolimeri dalla sua attuale azione, mentre la proposta restrizione basata su gruppi dei Pfas nell’Ue include deroghe limitate nel tempo, ad esempio per gli usi nei prodotti medicali, ed esclusioni del piccolo sottogruppo dei Pfas completamente mineralizzabili. Per gli scienziati, inoltre, la definizione alternativa potrebbe essere utilizzata da alcune parti “con interessi acquisiti per influenzare la normativa e, di conseguenza, quali Pfas siano autorizzati a essere utilizzati, emessi e presenti in prodotti e ambienti. Ciò causerà inoltre una sostanziale ambiguità e confusione nelle discussioni internazionali”. Non solo: poiché i metodi per il monitoraggio della conformità e l’applicazione delle norme sono adattati alle normative, le modifiche alla definizione “ostacolerebbero la standardizzazione in corso dei metodi”. L’attuale dibattito su quali Pfas includere nella Direttiva Ue sulle acque potabili è un esempio della necessità di una definizione coerente e completa.
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