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Nell’80esimo anniversario della vittoria sul nazismo, l’Europa è cupamente divisa in due

di Roberto Iannuzzi*

La celebrazione dell’80esimo anniversario della vittoria sulla Germania hitleriana, che ricorre questa settimana, ci fornisce una vivida quanto cupa manifestazione del solco che separa oggi Mosca dall’Occidente, all’epoca uniti (malgrado tutto) contro il flagello nazista.

Fin da subito celebrata in due date distinte – il 9 maggio nell’Urss, il giorno prima nel resto d’Europa, poiché la resa tedesca fu firmata due volte, la prima all’insaputa dei vertici sovietici – tale commemorazione ci offre oggi un quadro desolante. L’Ue ha impartito “chiare istruzioni” ai leader dei paesi candidati all’ingresso nell’Unione affinché non prendessero parte alla parata di commemorazione sulla Piazza Rossa. Dal canto suo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato di non poter “garantire la sicurezza” dei rappresentanti stranieri che si sarebbero recati a Mosca il 9 maggio. Il ministero degli esteri tedesco ha invece emanato una nota confidenziale che raccomandava alle autorità locali di non invitare diplomatici di Russia e Bielorussia agli eventi commemorativi in Germania, e addirittura di allontanare eventuali “ospiti non invitati”.

Nel frattempo, le reclute ucraine addestrate in Gran Bretagna hanno partecipato a una sfilata militare congiunta con le truppe di Sua Maestà a Londra per simboleggiare, secondo le parole del ministero della difesa britannico, “l’appoggio globale alla persistente lotta per la libertà dell’Ucraina contro l’illegale e non provocata invasione russa”. Negli ultimi mesi, inoltre, politici europei e commentatori della stampa occidentale hanno paragonato gli sforzi negoziali del presidente americano Donald Trump per risolvere il conflitto ucraino alla politica di appeasement degli anni ’30 del secolo scorso nei confronti di Hitler.

Tali accostamenti si inseriscono nel quadro di un più generale tentativo di molti a livello europeo, fra cui lo stesso presidente ucraino Zelensky, di dipingere la Russia come erede della Germania nazista. Trump ha dato il proprio personale contributo alle manipolazioni storiche di quella tragica epoca dell’umanità attribuendo agli Usa, sul suo social preferito, il ruolo maggiore nella vittoria di entrambi i conflitti mondiali: “Abbiamo vinto entrambe le guerre, nessuno è stato simile a noi in termini di forza, coraggio o brillantezza militare, ma noi non festeggiamo mai nulla – questo perché non abbiamo più leader che sappiano come farlo! Torneremo a festeggiare le nostre vittorie!”. Simili affermazioni rappresentano solo l’ultimo tentativo di riscrivere la storia cancellando il ruolo primario giocato dai sovietici nella vittoria contro Hitler, un ruolo che dieci anni fa veniva ancora riconosciuto da un giornale come il Washington Post.

A tale proposito, Adam Tooze, storico e professore presso la Columbia University, ricorda che furono di gran lunga i sovietici a pagare il prezzo più alto in termini di vite umane nella guerra contro Hitler, sacrificando in quel drammatico scontro la spaventosa cifra di 24 milioni di individui (e forse più), fra civili e militari. Seguirono i cinesi, altro attore dimenticato, che nel secondo conflitto mondiale persero oltre 19 milioni dei propri cittadini. Gli Usa figurano solo al 18esimo posto, con poco più di 400mila vittime, in gran parte militari.

Le distruzioni e i massacri provocati nell’Urss dall’invasione tedesca raggiunsero proporzioni inimmaginabili. Basti pensare che nel solo assedio di Leningrado morirono, in gran parte di fame, oltre un milione di civili. Questo spiega perché la memoria di quel terribile conflitto, ricordato in Russia come la “grande guerra patriottica”, sia viva ancora oggi essendo parte integrante dell’identità russa, e perché coloro che vi sacrificarono la vita siano tuttora commemorati con devozione. Come scrisse anni fa Richard Sakwa, noto politologo britannico e grande conoscitore della Russia, le celebrazioni del 9 maggio ricordano “la più grande e distruttiva guerra condotta dall’umanità, contro un regime che non aveva eguali nell’applicazione sistematica della burocrazia per praticare la crudeltà su una scala senza precedenti”.

Sakwa scrisse queste riflessioni nel 2015, in occasione del 70esimo anniversario della vittoria sulla Germania nazista, quando i leader occidentali che fino a pochi anni prima avevano preso parte alle commemorazioni a Mosca disertarono in massa. In quell’occasione, accanto al presidente russo Putin, nel palco d’onore sulla Piazza Rossa vi era il suo omologo cinese Xi Jinping, a simboleggiare il salto di qualità nei rapporti fra Russia e Cina, e i nuovi equilibri che si stavano formando a livello internazionale.

Un anno prima la rivolta di Maidan, a Kiev, aveva portato al rovesciamento del presidente Viktor Yanukovych, in quello che la Russia ha sempre considerato un golpe sostenuto dagli Usa. Quella crisi pose le basi per il drammatico conflitto che ancora oggi insanguina il vecchio continente. Invece di tentare la via negoziale in Ucraina, governi e vertici militari europei continuano ad agitare lo spettro di una possibile invasione russa di altre porzioni dell’Europa, una minaccia in realtà inesistente. Nel suo articolo, Sakwa esortò i leader europei a non ripetere gli errori della generazione che fece sprofondare il mondo nel baratro del secondo conflitto mondiale. Ad oggi quell’appello non sembra essere stato raccolto.

*Autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).
X: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/


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