Neil Young – Oceanside Countryside :: Le Recensioni di OndaRock
Da un lato l’Oceano, dall’altro la campagna. In mezzo, lui, il Loner canadese, 80 anni da compiere quest’anno, infaticabile anche in veste di archivista, con la sua costante opera di riesumazione di dischi perduti, tra outtake, versioni alternative e inediti ripescati dal cassetto. In questo caso, addirittura, bisogna riportare le lancette dell’orologio indietro di quasi 50 anni. “Oceanside Countryside” raccoglie infatti una serie di canzoni registrate tra maggio e dicembre del 1977, poco dopo l’uscita di “American Stars ‘n Bars”, assieme a vecchi compagni come il polistrumentista Ben Keith. Quel disco, come altri dello stesso periodo (“Homegrown”, “Hitchhiker”, “Chrome Dreams” etc.) è rimasto inedito per oltre quattro decenni. Anche se la maggior parte dei brani sono poi riapparsi in altre versioni su lavori come “Rust Never Sleeps”, “Hawks & Doves” e “Comes A Time”, l’album del 1978 che sostituì ufficialmente “Oceanside Countryside” nella discografia di Young. Ora, proprio come quegli Lp abbandonati negli anni 70, il lost album “Oceanside Countryside” rivede la luce nella sua confezione originale, dopo essere stato già incluso nel box “Archives Vol. III (1976-1987)” del 2024, ma con versioni differenti e una tracklist modificata. L’edizione attuale dell’album – inserita ufficialmente nei Neil Young Archives, all’interno della serie Analog Original – riporta invece il formato originariamente previsto nel 1977.
Oceano e campagna, si diceva, come due facce della stessa medaglia. Sulla falsariga di “Rust Never Sleeps” (1979), “Oceanside Countryside” presenta una struttura bipartita: la prima metà, “Oceanside”, contiene brani acustici registrati in solitaria, voce e chitarra, lungo le coste della Florida e di Malibu, mentre la seconda, “Countryside”, raccoglie tracce incise a Nashville con l’ausilio di fidati musicisti (Joe Osborne al basso, Rufus Thibodeaux al violino, Ben Keith al dobro e Karl Himmel alla batteria), per un sound più vicino al folk-rock del capolavoro “Harvest” (1972).
Il sipario sull’Oceano si apre sugli arpeggi trasognati di “Sail Away”, delicata ballad cullata da melodie morbide e testi evocativi, successivamente apparsa in “Rust Never Sleeps”. E quell’assolo di armonica, diciamolo, è una botta al cuore. Immersi in uno scenario bucolico senza tempo, ci si imbatte nell’intimità spoglia di “Lost in Space” e nel country salmastro di “Captain Kennedy” (due episodi ripresi su “Hawks And Doves” del 1980).
La magica “Goin’ Back” – qui in versione ancor più esile e soffusa – è invece la nota apertura di “Comes A Time”, dal quale viene ripresa anche “Human Highway”, title track mancata di un altro album che non andò in porto, a cura stavolta del supergruppo Crosby, Stills, Nash & Young, che nelle intenzioni doveva seguire il loro epico “Déjà Vu” del 1970: sono passati tanti anni, ma quel lamento struggente di Young che con un filo di voce si (e ci) chiede “how could people get so unkind?” resta drammaticamente vivo e attuale.
Girato il lato, ci si ritrova a vagare per i campi del Tennessee (cit.) in mezzo alle fragranze country-rock a suon di fiddle della divertita “Field Of Opportunity” (senza le armonie vocali della dolce Nicolette Larson aggiunte per “Comes A Time”) e di una travolgente versione di “Dance Dance Dance”, che Young aveva registrato per la prima volta nel 1969 con i Crazy Horse per un altro album mai pubblicato, prima che la band lo includesse nel suo omonimo debutto del 1971.
Più riflessivi altri episodi come la contrita “The Old Homestead”, già proposta su “Hawks & Doves” (2003), con il verso (auto)profetico “Why do you ride that crazy horse?”, e la malinconica ballata “It Might Have Been”, cesellata con il minimo degli orpelli, al servizio della voce fragile – e sempre dannatamente emotiva – del cantautore di Toronto.
Chiude l’album “Pocahontas” – canzone già nota ai fan ma qui presente in una veste più spoglia e intima – con una riflessione poetica sulle ingiustizie storiche, costruita su una narrazione surreale ed evocativa.
È un tuffo nel passato, sì, ma “Oceanside Countryside”, oltre a offrire una prospettiva nuova sul lavoro di uno dei più importanti cantautori di sempre, sprigiona un’autenticità e una purezza che non possono lasciare indifferenti. E infatti i fan gli hanno tributato una più che degna accoglienza, trascinandolo nelle top 20 degli album più venduti in vinile su entrambe le sponde dell’Oceano (per restare in tema).
Neil Young, insomma, si conferma un baluardo, non solo musicale. E anche se il concerto in Ucraina è sfumato, resta la nobiltà del gesto. Keep on rockin’, Neil.
P.S. Il disco, numero 7 della Special Release Series dedicata agli album inediti, esce per la nuova serie AOS (Analog Original Series) che prevede il trasferimento diretto su vinile dei master analogici senza passare da alcuna versione digitale. La versione in cd è comunque stata annunciata per il prossimo 25 aprile.
22/03/2025