Navi da guerra, F-35 modificati e missili Hellfire: gli Usa hanno aiutato Israele contro l’Iran?

“Non siamo coinvolti ma sapevamo cosa stava succedendo“. Queste la posizione espressa più volte dal presidente americano Donald Trump dopo l’avvio venerdì scorso dell’operazione israeliana Rising Lion che ha colpito gli impianti legati al programma nucleare iraniano e ha neutralizzato scienziati e vertici militari del regime degli ayatollah. Diverse ricostruzioni giornalistiche degli eventi delle ultime ore riferiscono però del ruolo ben più attivo, peraltro ancora in corso, giocato dagli Stati Uniti in quella che ormai assume sempre più le caratteristiche della resa dei conti finale tra Tel Aviv e Teheran.
Tra i primi a farsi largo nella fitta “nebbia di guerra” che contraddistingue le fasi iniziali del nuovo confitto in Medio Oriente è stato il Wall Street Journal secondo il quale il capo della Casa Bianca avrebbe aiutato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a creare le condizioni per il lancio del blitz a sorpresa contro la Repubblica Islamica. I riferimenti ai negoziati, previsti oggi – e poi cancellati – in Oman tra l’inviato speciale del presidente Steve Witkoff e la delegazione iraniana, ripetuti dal tycoon nelle ore precedenti al raid si sono rivelati essere una copertura perfetta per i preparativi dei piani dell’Idf.
“Gli iraniani avrebbero dato per scontato che Israele non avrebbe attaccato mentre i colloqui erano ancora in corso e un incontro stava per avere luogo”, dichiara Dennis Ross che ha ricoperto l’incarico di altro funzionario per le questioni mediorientali nelle amministrazioni repubblicane e democratiche. Persino la marcia per il Gay Pride a Tel Aviv prevista nel weekend e le nozze del figlio di Netanyahu fissate per lunedì – eventi cancellati solo dopo l’inizio del blitz – hanno contribuito a generare un senso di falsa sicurezza tra gli iraniani.
Il supporto americano allo storico alleato si è concretizzato in altre forme. In un articolo dell’Associated Press si legge che venerdì i sistemi di difesa aerea Usa e il cacciatorpediniere della Marina statunitense USS Thomas Hudner collocato nel mar Mediterraneo orientale hanno aiutato Tel Aviv ad abbattere i missili balistici partiti dall’Iran in segno di rappresaglia. Washington avrebbe ordinato anche ad un altro cacciatorpediniere di avvicinarsi all’area del conflitto. La portaerei USS Carl Vinson si trova già nel Mar Arabico mentre le portaerei USS Nimitz, attualmente nell’Indo-Pacifico, e la USS George Washington, che ha appena lasciato il Giappone, potrebbero dirigersi nella regione se dovessero ricevessero l’ordine dalla Casa Bianca. Mosse che servirebbero anche a garantire la sicurezza dei circa 40mila soldati americani presenti in Medio Oriente.
Sul ruolo degli Stati Uniti cominciano però a circolare indiscrezioni che, qualora confermate, rivelerebbero la spregiudicata doppia strategia adottata dal presidente Trump in parallelo ai negoziati sul nucleare. Gli Usa, almeno per ora, non avrebbero concesso ad Israele le micidiali bombe anti-bunker in grado di distruggere l’impianto di arricchimento dell’uranio di Fordow, costruito in profondità al di sotto di una montagna, ma, stando a quanto riportato da Middle East Eye, avrebbero aiutato lo Stato ebraico a modificare i caccia F-35 impiegati nei raid in Iran. Le modifiche apportate, nello specifico si tratterebbe dell’aggiunta di serbatoi sganciabili, avrebbero permesso ai jet stealth di ampliare il loro raggio di azione eliminando la necessità di effettuare rifornimenti in volo senza compromettere le loro caratteristiche. L’autonomia di tali velivoli è normalmente di 700 miglia e la distanza più breve tra Israele e Teheran è di 620 miglia, sola andata, e un funzionario statunitense avrebbe confermato al sito specializzato che durante la loro missione le decine di caccia dell’Idf non hanno effettuato rifornimento in volo o a terra.
C’è di più. Sempre in un articolo pubblicato su Middle East Eye si legge che martedì scorso gli Stati Uniti hanno consegnato ad Israele circa 300 missili di precisione aria-terra Hellfire. Una circostanza che dimostrerebbe come l’amministrazione Usa sia stata ben informata dei piani di attacco di Tel Aviv contro Teheran. “Sono stati utili per Israele”, ha ammesso a tal proposito una fonte di alto livello del Pentagono. Numerosi funzionari militari e scienziati del regime teocratico sono stati raggiunti da missili di precisione lanciati dai caccia israeliani.
Il premier Netanyahu sembrerebbe adesso puntare ad un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Secondo Axios, nelle ultime 48 ore “Bibi” avrebbe chiesto all’amministrazione Trump di unirsi al conflitto per eliminare il programma nucleare della Repubblica Islamica. Una richiesta confermata da due funzionari israeliani. Una delle gole profonde avrebbe precisato che il presidente Usa si sarebbe dimostrato disponibile, qualora “necessario”, all’invito di Netanyahu. Una fonte americana ha confermato la richiesta avanzata dal governo d’Israele ma ha negato che la Casa Bianca la stia considerando. Nella tarda serata di ieri un alto funzionario di Washington ha affermato sibillino che “qualsiasi cosa accada oggi non potrà essere impedita” aggiungendo che “abbiamo la capacità di negoziare una risoluzione pacifica e positiva di questo conflitto, se l’Iran è d’accordo“.
E mentre da Israele fanno sapere di avere ottenuto il controllo dei cieli di Teheran e di non escludere nessun obiettivo, Khamenei incluso, Trump ha fatto sapere di volere che la guerra finisca. Una ridda di dichiarazioni che aumenta la confusione sul campo e rende ancora più fitta la “nebbia di guerra”. In attesa della prossima mossa a sorpresa.
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