Momo Elmaghraby, il razzismo da bambino: “Se succedeva li picchiavo. Alla boxe grazie a una rissa”
“In Egitto ci sono nato e vissuto i primi 12 anni, dopo non ci sono più tornato. Non avevamo tanto, ma sono cresciuto con le nostre tradizioni culturali e religiose. Poi, una volta arrivato in Italia, la mia vita non è stata sempre facile”. Quella di Mohamed ‘Momo’ Elmaghraby, 29 anni, professione pugile, è una storia che parte da lontano, cerca tante strade – non sempre comode – e finalmente imbocca quella del lieto fine: “Ho una compagna, abbiamo un bambino che ha appena compiuto un anno e stiamo aspettando una bambina. Lavoro come fattorino in un centro culturale perché con la boxe, almeno ai miei livelli, non si campa. Me lo dico da solo, ho proprio messo la testa a posto”.
In Italia una partenza problematica
In mezzo parecchie problematiche: “Una volta arrivato in Italia sono iniziati i problemi. I miei genitori non andavano d’accordo. Mia madre è tornata con il resto della famiglia in Egitto e con mio padre non parlavo. Quindi, sono finito in una comunità fino a quando, all’età di 18 anni, ne sono uscito e mi ha ospitato in casa sua un amico”.
“Il razzismo? Solo tra bambini”
La classica fase senza punti di riferimento in cui la sciocchezza è dietro l’angolo: “Ho fatto tanti casini, diciamo che ero un ragazzo vivace che non rispettava le regole. Bevevo, fumavo, mi buttato in tutte le risse”. Una integrazione problematica e sullo sfondo l’ombra del razzismo: “Un po’, ma solo da ragazzino. Non sapevo la lingua e mi prendevano in giro per quello e per le mie origini. Finiva sempre allo stesso modo, gli alzavo le mani e la piantavano”.
“Notato durante una rissa, così ho iniziato con la boxe”
Le sliding doors sono arrivate dal pugilato. “Ero a Monza, in stazione, coinvolto in una rissa. Mentre facevo a botte mi ha notato una persona che lavorava in una palestra con Matteo Salvemini, negli anni Ottanta campione d’Europa dei pesi medi. Mi ha detto che potevo far confluire tanta rabbia su un ring”. E sul ring ha funzionato, se è vero che sabato catalizzerà l’attenzione del pubblico milanese nella riunione organizzata da Taf – The Art of Fighting – al Centro Pavesi nella rivincita contro Stiven Leonetti (primo incontro vinto da Momo tra mille polemiche). Il match è caratterizzato da feroce rivalità: “C’è un vero astio. Niente di specifico, sono quelle cose che nascono dal nulla. Poi io ho messo del mio, esagerando un po’ sui social per tenere alta l’attenzione”.
“Sognare con giudizio, aspiro a essere al vertice in Italia”
Momo ha un idolo (“Mike Tyson, mi è sempre piaciuta la sua voglia di emergere dal basso”), ma ha i piedi ben saldi per terra: “Sognare va bene, ma bisogna farlo con obiettività. A disputare un titolo mondiale non penso ci arriverò mai. Mi basta essere uno dei migliori in Italia e magari farmi rispettare all’estero”. Parole da uomo tranquillo: “Ma solo grazie alla boxe che mi ha dato una sistemata, altrimenti i guai si sarebbero sprecati”.
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