Milo Manara: «Oggi siamo inondati da immagini esplicite, ma senza anima. E questa sovraesposizione ha ucciso il desiderio. L’erotismo ha bisogno di lentezza, mistero, attesa»
A ottant’anni appena compiuti, Milo Manara si guarda allo specchio, anzi: si guarda sul grande schermo. È da poco uscito in alcune sale selezionate Manara, il docufilm diretto da Valentina Zanella, scritto da Tito Faraci e Federico Fava e prodotto da K+, che racconta l’uomo dietro al mito, l’artista che ha rivoluzionato l’erotismo nel fumetto, portandolo oltre i confini della pornografia per farne cultura, stile, politica.
Lo raggiungiamo al telefono in una soleggiata mattinata d’autunno, per riflettere insieme con ironia e lucidità sul suo passato, sulla bellezza femminile, sull’intelligenza artificiale e sul futuro del desiderio. Con la voce pacata di chi ha disegnato mondi e confini, Manara ci porta dentro il suo sguardo: fatto di lentezza, attesa e rispetto. Perché, come dice lui anche nel film, «l’erotismo non è ciò che si vede. È ciò che resta nascosto».
Maestro Manara, ottant’anni e un film su di lei. Che effetto fa vedersi raccontato?
«Non è stata un’idea mia, per questo mi ha colto di sorpresa. In Italia non siamo abituati a vedere documentari su chi fa il mio mestiere — in Francia, su Arte (rete televisiva a vocazione artistica – culturale, ndr), è più comune. Rivedermi in quei filmati, di quando ero ragazzo, da uomo maturo, poi oggi, ha avuto qualcosa di spiazzante, ma anche profondamente liberatorio. C’era un filo rosso, un’identità sempre presente. Mi ha fatto effetto vedermi cambiare, ingrassare, dimagrire, sorridere, parlare… ma la cosa bella è che ho capito che, dentro, ero sempre io. Guardarsi da fuori ti costringe a essere onesto con te stesso».
Lei è cresciuto in un’Italia in fermento. Quanto ha inciso quel clima nel suo modo di raccontare il corpo e il desiderio?
«Tantissimo. Ho iniziato nel 1968, il mio primo fumetto fu pubblicato nel gennaio del ’69. In quegli anni, l’erotismo aveva una funzione eversiva e liberatoria. Era un tempo in cui si lottava per liberare il corpo, la mente, i diritti. Lessi Eros e civiltà di Marcuse, una vera Bibbia per i Sessantottini, che sosteneva che la vera liberazione sessuale passasse necessariamente dalla liberazione sociale. E io ci ho sempre creduto. L’erotismo non è mai solo una questione privata, ha un valore politico, culturale, sociale. Disegnare donne libere, sensuali, era anche un modo per rappresentare una società che voleva smettere di reprimere e cominciare a immaginare».
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