Società

Lorenzo Gasparrini, sull’educazione affettiva nelle scuole: «La politica non è minimamente interessata ad ascoltare i bisogni dei ragazzi e delle ragazze e quando lo fa si limita al massimo a fornire soluzioni blande, al limite dell’inutile»

L’inganno principale che la società patriarcale crea negli uomini è l’illusione della loro libertà. Non solo le donne, infatti, sono vittime di questa cultura ma anche gli uomini, che spesso senza rendersene conto finiscono per sviluppare, in risposta, una performance della mascolinità che può fare molti danni, a loro stessi ma anche agli altri.

In vista della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, dal 9 al 23 novembre presso il Museo archeologico nazionale della Sibaritide, a Sibari, in provincia di Cosenza è in programma il festival Che non sia solo il 25 novembre, organizzato da Io Calabria e pensato per combattere la violenza sulle donne a partire dall’abbattimento degli stereotipi, non solo un giorno all’anno ma molto di più. Tra i temi trattati quest’anno, anche quello della performance della mascolinità, approfondito dal filosofo femminista Lorenzo Gasparrini, secondo il quale «gli uomini, al pari delle donne, sono intrappolati dentro schemi sociali e costrizioni culturali di genere talmente interiorizzati da inchiodarli a comportamenti preconfezionati, rigidi, stereotipati, che condizionano pesantemente la loro vita».

Con quali conseguenze?
«Innumerevoli. Abbiamo creato una società che dà molti vantaggi a chi è uomo, ma il prezzo da pagare è una pressione mentale e psicologica a volte insostenibile, che porta a sacrificare aspetti importantissimi della propria personalità al punto che, e non è un caso, ad esempio gli uomini si suicidano molto più delle donne. Fin da piccoli i maschi sono abituati a sviluppare una impermeabilità alle emozioni, che da adulti li priva di strumenti indispensabili per l’ascolto degli altri e in particolare della persona che hanno a fianco, con risvolti che possono prendere pieghe drammatiche. Il mito della mascolinità poi danneggia anche la loro salute fisica».

Come?
«Usare il corpo sempre al massimo sviluppa l’idea dell’invincibilità e porta molti uomini a fare pochissimi controlli medici, soprattutto nell’aera genitale. Mentre le ragazze sono abituate ad andare dal ginecologo fin da giovanissime, i ragazzi non vanno dall’andrologo, anzi gli viene detto che quella parte così importante del proprio corpo non deve essere soggetta ad analisi perché ciò potrebbe rovinarla o mettere in dubbio la virilità».

Volendo generalizzare, gli uomini hanno la percezione di essere schiacciati dalla cultura patriarcale oppure non se ne rendono conto?
«Oggi la sensazione che il modello culturale che portiamo avanti da decenni non funzioni più e che qualcosa andrebbe cambiato c’è, però mi sembra che in Italia sia ancora presto per una presa di coscienza reale. Al momento difficilmente si riescono a scorgere alternative possibili e si tende ancora molto a usare le donne come bersagli, identificandole come responsabili della crisi del maschile. A fronte di ogni, più che legittima, rivendicazione femminile di libertà raccontiamo che l’uomo va in crisi, mentre dovremmo dire che se succede è perché quelle idee alle quali è ancorato non funzionano più».

Anche se si potrebbe pensare che le cose stiano migliorando nelle nuove generazioni, alcuni fatti di cronaca come il femminicidio di Giulia Cecchettin o quello della tredicenne Aurora Tila, buttata dal balcone da un quindicenne, ci dicono che purtroppo non è così.
«I miglioramenti esistono ma sono lenti. È vero che le nuove generazioni sembrano aver superato alcune forme di mascolinità proprie di chi adesso è più adulto ma altre resistono o si sono trasformate. Quando incontro i ragazzi nelle scuole, di gelosia ridono ma se parli loro di controllo sanno bene cos’è perché molti lo esercitano, seppur in modo diverso rispetto al passato, ma restando convinti che sia legittimo, ad esempio, all’interno di una relazione avere accesso al cellulare della partner, poterle dire come vestirsi e pretendere sempre di sapere dov’è e cosa sta facendo».


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