Marche

l’arma del delitto chiave della dinamica

SAN BENEDETTO Una tac sul cadavere e analisi tossicologiche. Sono due degli esami effettuati sul corpo di Amir Bankharbuch, 24 anni di Giulianova, il giovane ucciso al culmine della lite avvenuta alle 5 del mattino di domenica 16 marzo sul lungomare nord di San Benedetto. L’esame autoptico è stato effettuato all’ospedale Mazzoni di Ascoli alla presenza dei periti che sono stati nominati dalla procura del tribunale ascolano. Si tratta di Francesco Paolo Busardò e Rosanna Zamparese. Con loro era presente anche il consulente di parte, il dottor Claudio Cacaci, nominato da due degli indagati, Francesco Sorge e Daniele Seghetti che sono difesi dall’avvocato Maurizio Cacaci.

Gli esiti

Nelle tre ore durante le quali si è esaminato il cadavere la scelta di effettuare la tac è stata fatta per verificare che non ci fossero altre lesioni interne che avessero potuto causare la morte del giovane. Ma altri particolari non sono emersi perché sulla vicenda non si vogliono fughe di notizie che possano inficiare le indagini. In particolare molto delicato è il passaggio sulle cause della morte e sul tipo di arma che utilizzata, anche perché per conoscere questi dettagli essenziali servono altri approfondimenti sulle lesioni riportate dagli indagati. Insomma se sia stato una stessa arma a ferire più persone e nel caso se sia passata di mano in mano o se una stessa mano con l’arma abbia ferito più persone.

Il crowdfunding

Ha superato, intanto, quota 8 mila euro la raccolta fondi sul web organizzata dagli amici di Daiele Seghetti allo scopo di aiutarlo a pagare le spese legali per la propria difesa. Una pratica, quella del microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse, molto in voga tra i giovani ma che lo stesso avvocato ha subito provveduto a disconscere.

La lettera

«Ritengo doveroso prendere pubblicamente le distanze da un’iniziativa di raccolta fondi promossa per il presunto sostegno alle spese legali del mio assistito – scrive Maurizio Cacaci-. Dichiaro di non essere stato in alcun modo informato preventivamente di tale iniziativa, della quale ho appreso l’esistenza unicamente da terze persone e tramite la diffusione sui social media. Preciso inoltre che tale raccolta fondi non è stata autorizzata, né condivisa, né tanto meno indotta e avallata dal sottoscritto. Ritengo necessario dissociarmi fermamente da questo tipo di attività, ribadendo l’importanza del decoro, dell’indipendenza e dell’onore che devono sempre caratterizzare l’esercizio della professione forense».

I promotori

Poi rivolto a coloro che hanno dato vita al Il crowdfunding li invita a non continuare dicendo: «Nel rispetto dei valori fondamentali della deontologia professionale e per evitare fraintendimenti o eventuali speculazioni, invito a voler interrompere immediatamente qualunque iniziativa che possa generare confusione o ombre sull’operato legale e professionale del sottoscritto».




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