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Labubu, ecco il giocattolo cinese diventato fenomeno mondiale


Labubu, ecco il giocattolo cinese diventato fenomeno mondiale

Cerco sempre nuovi stimoli per tirarmi su dal divano, dal letto, dalla vita, sono uno scrittore postumo in vita che ambisce a qualcosa che lo distragga da ciò che è rimasto di sé stesso (nulla). Oggi ho scoperto il Labubu e ho pensato: forse questo è il colpo di scena che mi serve. Tutto è nato da una notizia. In Cina una statua Labubu alta circa un metro e trenta, un pezzo unico, è stata venduta all’asta per 1,08 milioni di yuan, circa 130 mila euro. Una follia, ovvero il mio genere preferito. Incuriosito, mi sono tuffato nel labirinto Pop Mart, azienda fondata nel 2010 a Pechino e quotata a Hong Kong, famosa per le sue blind box di giocattolini IP come Labubu, Molly, Skullpanda.

Qui ho abbassato il volume del razionale. Pop Mart, grazie alla furia Labubu, ha visto i ricavi 2024 crescere del 106,9 per cento a 13,04 miliardi di yuan, quasi 1,8 miliardi di dollari, e un utile netto salito del 185,9 per cento a 3,4 miliardi di yuan. Le vendite internazionali sono aumentate del 375 per cento, rappresentando circa il 39 per cento del fatturato.

In Borsa non scherzano (anche se a volte sembra di sì, facendo disastri): il valore di mercato ha superato i 300 miliardi di dollari di Hong Kong, circa 38 miliardi di dollari statunitensi, crescendo di dieci volte da inizio 2024 e lasciando indietro giganti come Mattel e Sanrio. E le lunghe file fuori dagli store di Milano, Parigi, Londra e Amsterdam sono lì a ricordarlo. Che cavolo prodotto è, di grazia? Un mostriciattolo di venti centimetri, con orecchie aguzze, zanne seghettate, morbido e insidiosamente adorabile. Viene usato come charm per zaini da liceali e come decorazione plastificata per borse Hermès, con testimonial illustri: Rihanna, Dua Lipa e Beckham lo usano come status symbol. Ok.

Il più irresistibile è il blind box, ovvero uno scatolino da circa sei euro che non ti fa sapere cosa hai comprato finché non lo apri, una strategia psicologicamente potente che induce a ricomprarlo fino allo sfinimento. Nonostante questo, qualcuno se ne arricchisce ancora di più: azionisti anonimi hanno venduto blocchi da quattro milioni di azioni a 187,99 dollari di Hong Kong ciascuna, incassando 97 milioni di dollari in due giorni.

E qui, ammetto, la faccenda ha cominciato a piacermi davvero: perché è una follia, ma d’altra parte proprio perché è una follia una delle cose che mi possono interessare di più adesso che me ne interessano sempre meno. Non voglio più essere travolto dalla cultura alta, né dalla bassa, e in fondo il Labubu è perfetto, non pretende nulla, è un coniglio mostruoso che vive solo per farsi desiderare, e è riuscito a farsi desiderare, mentre ogni giorno gente sui social ci prova senza successo, o con un successo direttamente proporzionale a quanto sono scemi gli influencer e ancora di più chi si fa influenzare da loro.

Per carità, ci sono incognite. I dazi americani, ora in tregua fino a meno 145 per cento, spingono Pop Mart a spostare produzione in Vietnam, i prezzi salgono da 22 a 28 dollari per Labubu. Ma la febbre pare indifferente. Ecco cosa mi succede. Un primo impulso di affetto, poi la crisi della realtà, ma ne ho davvero bisogno, infine la decadenza del desiderio. Mi vedo già su Vinted a cercare un Lafufu, la copia taroccata, sperando in un miracolo economy. Plot twist, mi stanco a leggere tutto e chiudo il browser. E ora, come colonna sonora del mio ritiro esistenziale, metto accendo la mia XBOX e avvio Call of Duty.

Cercando di non pensare, anche qui, che ci sono streamer che giocando ci guadagnano, io pago per giocare.

Però forse una skin Lafufu per il mio personaggio potrei prenderla. Ecco come sono messo, sebbene gli altri non è che mi sembrino messi meglio, ma almeno sanno come investire quando, io al massimo investo nemici con un quad su Verdansk.


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