Lazio

La scuola laicista o pluralista

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

L’ora di religione non accoglie i preti. Non me lo aspettavo. L’anno scorso il dirigente scolastico mi chiese di attivare un servizio di aiuto allo studio per i bambini che non si possono permettere insegnanti privati e mi sono subito attivato. Quest’anno, in occasione della Missione popolare della nostra parrocchia, ho dato per scontato che un padre domenicano potesse entrare a parlare durante l’ora di religione. I domenicani sono grandi predicatori, è un piacere ascoltarli.

Alcuni docenti di religione invece non erano interessati, altri chiedevano l’autorizzazione del dirigente, che non l’ha concessa, non so perché, forse per evitare conflitti con qualche genitore. Quando ci siamo sentiti mi ha detto, tra le tante cose, come rassegnato, che in fondo «la scuola è laica».

È inutile far notare che nell’ora di religione si studia anche la religione cattolica, e si studiano anche i domenicani. È inutile far notare la stranezza di una laicità che permette di inviare i bambini in parrocchia per un aiuto gratuito allo studio tutte le settimane, ma non permette a un sacerdote di parlare nell’ora di religione una sola volta in un anno. Il dirigente è davvero una brava persona e non ho motivi per avercela con lui e in più mi ha dato l’occasione di riflettere un po’. Ho preso in mano la Treccani per capire meglio questa «laicità» ed ecco ciò che ne è uscito.

La parola «làico» nasce nella Chiesa cattolica – roba da  preti! – e indica i battezzati che non sono parte della gerarchia ecclesiastica, ovvero, chi non è diacono, prete o vescovo. Il termine è stato poi esteso a qualcosa di ben diverso: infatti, laico è anche ciò «che s’informa ai caratteri del laicismo […] quelli che dichiarano la propria libertà da ogni forma di dogmatismo ideologico, non soltanto religioso; scuola l., quella scuola nella quale è esclusa ogni ingerenza ecclesiastica e sono riconosciute e difese la piena libertà d’insegnamento e l’essenza critica, antidogmatica, del sapere». Ecco che si parla della scuola! 

Nella scuola laica è dunque riconosciuta la «piena libertà di insegnamento»: quindi ai docenti dovrebbe essere permesso far entrare chi desiderano, se ciò è di supporto alla propria didattica. Mi sfugge allora perché senza autorizzazione del dirigente non sia permesso far entrare un relatore: mi confesso ignorante in materia. È bellissima per me soprattutto però la difesa della «essenza critica, antidogmatica, del sapere» subito dopo aver affermato che è necessaria la libertà «da ogni forma di dogmatismo ideologico, non solo religioso». Non è infatti solo la Chiesa ad avere dogmi. Oggigiorno  è onnipresente un dogmatismo implicito di matrice “laica”, che stabilisce ciò di cui si può parlare e ciò di cui non si può. L’essenza critica del sapere dovrebbe liberarci dai dogmatismi di ogni sorta, ma questo è possibile solo se la scuola permette che si possa conoscere ogni idea, ogni convinzione e la inserisce in quel vasto contesto sociale di cui la scuola è parte. È così che nasce la cultura: integrando i saperi, interagendo con ogni patrimonio di esperienze. Impedire a qualcuno di esprimersi – fosse anche un prete – irrigidisce le menti e i cuori, ed è dogmatismo, è censura.

Sono passato a consultare la Treccani sullo Stato laico: secondo l’Enciclopedia, è «quello che riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad alcuna di esse, e che riafferma la propria autonomia rispetto al potere ecclesiastico». Ogni confessione religiosa dovrebbe quindi avere uguale possibilità di farsi conoscere. Se nell’ora di religione un rappresentante di una delle religioni studiate – qualunque essa sia –  venisse ad approfondirne un aspetto particolare, si confermerebbe l’equidistanza dello Stato da ogni religione e non vi si apporterebbe alcuna ferita alla sua laicità.

Il problema nasce, con ogni probabilità, quando si confonde l’essere laico con il laicismo. Ricorriamo ancora una volta alla Treccani: il laicismo è «concezione volta ad affermare e valorizzare l’indipendenza della società civile e politica da ogni forma di condizionamento o ingerenza da parte della Chiesa, sviluppatasi a partire dal 19° secolo. Si differenzia da laicità (che allude alla distinzione tra Stato e Chiesa) per la presenza di una componente anticlericale e per la tendenza a considerare la religione un fatto esclusivamente privato, che non deve in alcun modo influire sulle decisioni pubbliche». 

Le componenti del laicismo sono dunque due: anticlericalismo e volere la religione relegata a fatto privato. È illuminante: ecco perché è così facile che a scuola ci si apra a pratiche delle religioni orientali (lo yoga, ad esempio) e sia invece così difficile parlare di tutto ciò che sa di cattolico. Così, in nome della tolleranza, si è diventati intolleranti verso una sola specifica categoria di persone; in nome dell’apertura a tutti, si arriva a censurare una speciale componente della propria identità culturale; in nome della libertà, ci si dimostra semplicemente razzisti.

L’altra componente del laicismo – la religione come fatto privato – vuole negare la possibilità alle religioni di avere un qualsiasi rilievo sociale. Tutte le religioni – proprio tutte, si rassegnino i laicisti – influenzano la vita delle persone, il loro pensiero, le loro scelte, il loro atteggiamento, le loro mete; tutte le religioni creano comunità, che hanno un peso nella vita sociale, determinano le scelte politiche, spostano gli interessi economici e politici. Al contrario, il laicismo, come posizione ideologica, è molto più debole di quanto appaia, per un difetto di origine: non si può affermare che tutte le religioni siano false dichiarando allo stesso tempo che non esiste una verità oggettiva. Se non c’è verità, ogni filosofia e ogni religione sono vaniloqui senza senso, compreso lo stesso laicismo; se una verità esiste, allora il laicismo predica il falso e chi lo segue spreca la propria vita. Insomma, la realtà è molto diversa da come ci viene raccontata.

Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca, le ideologie dello scorso secolo si sono rilevate illusorie e fallimentari, e il laicismo è ormai il rimasuglio di una élite sempre più ristretta e fuori del tempo. Si pensava di evitare i conflitti soffocando ogni individualità, invece di voler imparare a vivere con gioia la varietà del mondo: ma le persone hanno bisogno d’affermare la propria personalità, di far sapere ciò che pensano, di condividere ciò che amano. Se tanti indossano magliette con i simboli della loro squadra di calcio preferita ci sarà un motivo. Perché sulla maglietta non potrebbe esservi anche l’immagine di Gesù, se lo si vuole? Perché in Francia si può indossare una collanina con la foto dei propri genitori, ma non un crocifisso, se quella persona sulla croce è altrettanto significativa per la propria vita? Ormai è percepita come liberticida una legge che decida quale parte della propria personalità un cittadino possa manifestare in pubblico.

La scuola sembra ancorata a un passato ideologico sorpassato, dogmatico. La sua chiusura è una forma nascosta di totalitarismo ateo. Se la scuola fosse un ente privato, non mi permetterei commenti. La scuola pubblica, invece, potrebbe, secondo me, non sbandierare più un laicismo ormai obsoleto, ma scoprirsi «pluralista», cioè luogo di libera accoglienza e discussione di ogni credo e opinione. Io però sono solo un prete che «ragiona con la testa del Vaticano» – come mi apostrofò una signora – perciò mi affido al vostro giudizio. Cosa ne pensate voi, che di sicuro siete di mente più aperta della mia: come volete che sia la vostra scuola, laicista o pluralista? 


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