Invalida al 100%: «Da 7 anni Ipes mi nega la casa» – Bolzano
BOLZANO. Da sette anni attende, invano, un alloggio Ipes per sé e i due genitori che la accudiscono amorevolmente giorno e notte perché lei è totalmente invalida. A dicembre pareva fatta, poi l’amara sorpresa: spiace non si può, i suoi genitori possiedono un appartamentino al paese, in Calabria. Anche lo vendessero subito, ma vale solo poche decine di migliaia di euro, per altri 5 anni non potrebbe comunque accedere all’edilizia sociale.
Lei si chiama Caterina Cutrì, 36 anni, bolzanina da 22, da 10 malata di una delle forme più pesanti della sclerosi multipla, la primariamente progressiva. L’Istituto sostiene che le regole valgono per tutti, anche se magari a taluni potrebbero apparire ingiuste; Caterina non pretende di cambiarle, vorrebbe soltanto che i casi venissero valutati uno per uno. «Con umanità».
Il fulmine a ciel sereno
Se le si telefona o le si scrive una email, dalle risposte l’impressione è che non abbia affatto bisogno dell’aiuto di chicchessia. Bisogna incontrarla, per comprendere. Assai pacata, preparata, una grande dignità, ma anche tanta, triste rassegnazione. Parla a lungo, occorrerebbero decine di pagine, per raccontare il suo ultimo decennio: già la malattia basterebbe e avanzerebbe…«Io – esordisce – ero una ragazza normale, stavo bene, vivevo la mia vita normale, abitavo da sola, lavoravo in un’agenzia viaggi. Avevo 26 anni quando ho scoperto questa malattia, marzo 2015. Purtroppo era una forma troppo aggressiva e nel giro di due anni sono finita in carrozzina e da lì la mia vita è cambiata in tutto e per tutto: soprattutto sono dipendente dagli altri al 100%. Sono tornata a vivere con i miei genitori».
Serve un’altra casa
Loro abitavano in piazza Matteotti, in un ex alloggio Ipes riscattato, in affitto da un privato. Il caseggiato, assai datato, non era però idoneo a un disabile. «Con la carrozzina non entravo in bagno, il proprietario non aveva aderito all’ascensore, e poi quelle vecchie case hanno un piano sfalsato, con le scale per me era impossibile restare lì». Fatta la domanda per la casa Ipes «mi è stato subito risposto che non c’erano alloggi disponibili per disabili e quindi abbiamo continuato a vivere ancora lì. Una volta alla settimana andavo a fare la doccia in via Fago, in una struttura per i disabili, perché in quella casa non mi potevo nemmeno lavare».
Soluzione provvisoria
Poi, tramite altre persone che si sono spese e con l’aiuto dell’Associazione Sclerosi Multipla, si è scoperto «che ogni associazione può avere un alloggio Ipes e se vuole può “donarlo” ai propri associati». In quel momento, prosegue, «sono usciti fuori un sacco di alloggi, che io ho visto dall’esterno». Poi, va oltre, «ho scelto di vedere questo nel complesso Ipes di via Mozart e ho accettato subito, perché era all’ultimo piano, sopra di me non c’è nessuno e io ho bisogno di tanta pace soprattutto per riposare di notte». L’Ipes ha adeguato il bagno, ha ristrutturato, a quel punto i Cutrì si sono trasferiti a Firmian, soprattutto perché è vicino al San Maurizio, una tappa quasi quotidiana. Pagano 600 euro di affitto più 65 di posto auto, indispensabile perché senza auto come recarsi alle tante visite, fisioterapie eccetera? L’altra metà dell’affitto è a carico dell’associazione. Nel frattempo, Caterina prosegue quindi a presentare la domanda di alloggio all’Ipes, ché sarebbe assai meno costoso. Mamma con pensione da invalida civile, il papà lavora mezza giornata perché il resto del tempo deve aiutarla, lei ha una pensione di poco superiore ai mille euro. «Ma l’Ipes ci considera troppo ricchi. Reddito troppo elevato rispetto ad altri, magari arrivati a Bolzano solo da un anno o due». Ergo, non si sale abbastanza in graduatoria. Nonostante ciò, lei non demorde e continua a presentare domanda. «Ho letto sul giornale che l’Istituto ha consegnato centinaia di alloggi, l’anno scorso. Mi domando, quanti ai disabili? Vivo a Bolzano da decenni, se non avessi questo problema non avrei certo avuto bisogno di alloggio, mi sarei arrangiata. Vedo qui tanti, italiani e non, con figli disabili che ricevono l’appartamento in tempi che mi paiono rapidi».
La doccia fredda
A dicembre, va oltre, «con mio papà sono andata a consegnare la domanda. Prima si presentava ogni anno, adesso ogni tre. Ho chiesto di poterla portare di persona, perché gli impiegati capissero. Mi hanno detto: tranquilla, adesso le verrà assegnata. Poi è arrivata una funzionaria dal piano di sopra, e ha detto: non se ne fa niente, avete una casa in Calabria». Un vecchio appartamento, inadeguato, a 1200 km da Bolzano, città dove ora stanno fratelli e amici. A 7 chilometri dal centro del paesino, dove non ci sono di certo i servizi sufficienti per lei. «Mi hanno fatto capire che posso trasferirmi lì, se ho bisogno». Caterina, delusa, chiede chiarimenti, perché la vecchia casa di famiglia era sempre stata dichiarata, nelle passate domande. «Sempre stati onesti e trasparenti», sostiene. Le hanno spiegato che «ora la legge è cambiata e chi possiede un alloggio di proprietà non ha più diritto».
L’aspetto che la lascia più perplessa è la soluzione prospettata dai burocrati: «Se andassi a vivere da sola, avrei l’alloggio subito. Ma mi servirebbe una badante, che non lavora 7 giorni su 7 24 ore al giorno. Come farei a pagarla? E i miei dovrebbero trovarsi un’altra casa, sul mercato privato, impossibile sotto i mille euro. Ho la fortuna che mi assistono con amore, ma dovrei rinunciare a loro. Ho solo una domanda, che però non so più a chi rivolgere: dove sta la vostra umanità?».