Economia

Il ruolo del retail contro lo spopolamento dei piccoli centri


C’era una volta la piazza del paese. Un luogo di incontri casuali, chiacchiere improvvisate, scambi di idee che diventavano sogni da realizzare. Oggi, mentre tutto sembra possibile da remoto, la solitudine avanza. E la piazza si svuota. In questo scenario, torna centrale il concetto di terzo luogo: quello spazio sociale, né casa né lavoro, dove nasce e si alimenta il tessuto connettivo della comunità. Non si tratta solo di nostalgia: il terzo luogo è, oggi, una necessità strategica per il futuro delle città e dei territori.

Durante la recente convention di Coralis, una riflessione ispirata e visionaria proposta dal filosofo e designer di strategie Giorgio Di Tullio ha riportato l’attenzione su questi temi: la perdita dei luoghi di incontro e di socialità, e la necessità di rigenerare spazi che restituiscano valore umano ed economico ai territori. Una riflessione preziosa in un momento storico in cui il concetto di restanza – il diritto a vivere e costruire nei propri luoghi d’origine – si fa strada come risposta alla desertificazione economica e sociale.

Il diritto di restare e il compito del retail

Negli ultimi anni, l’Italia ha visto un progressivo svuotamento di aree interne e piccoli centri: meno lavoro, meno servizi, meno opportunità. I giovani partono, le attività chiudono, le comunità si sfaldano. Eppure, accanto al diritto di partire, si afferma con forza il diritto di restare. Restare significa abitare i propri luoghi non come custodi malinconici di un passato che non torna, ma come costruttori di futuro. In questo quadro, il retail, alimentare e non, può giocare un ruolo fondamentale, diventando presidio sociale, motore di connessione, strumento di sviluppo locale.

Il negozio, il mercato, il piccolo centro commerciale non sono solo luoghi di scambio economico: possono e devono diventare terzi luoghi. Spazi aperti alla comunità, capaci di integrare commercio, cultura, tempo libero, innovazione e socialità. Essere terzo luogo oggi significa riscoprire la funzione pubblica dell’impresa privata: non vendere solo merci, ma offrire esperienze, opportunità, relazioni. “La nostra forza è nella costruzione collettiva del senso. Invece di vedere gli altri come concorrenti, possiamo considerarli alleati. Possiamo riscoprire il valore del fare insieme”, ha ricordato Giorgio Di Tullio durante il suo intervento. Una visione che richiama il retail a un ruolo di protagonista nella rigenerazione sociale ed economica dei territori.

Come il retail può sostenere la restanza

Per sostenere il diritto alla restanza, il retail deve cambiare paradigma. Non basta presidiare il mercato: bisogna presidiare i luoghi, contribuendo attivamente alla loro vitalità. Accorciare le filiere, sostenere produzioni locali, valorizzare la prossimità, ripensare gli spazi commerciali come luoghi di incontro, investire nella rigenerazione urbana, costruire reti pubblico-private e sostenere la micro-imprenditorialità sono azioni fondamentali per radicare nuova vita nei territori.

In questo senso, Coralis rappresenta un esempio concreto: il consorzio riunisce piccoli operatori locali della distribuzione alimentare, promuovendo un modello di prossimità che sostiene le economie locali e costruisce relazioni autentiche con le comunità. Anche Crai, realtà più grande ma caratterizzata da una rete di molti piccoli imprenditori, spesso radicati in ambienti rurali o in piccoli centri, testimonia come il retail possa essere un presidio di vitalità economica e sociale, contribuendo non solo a mantenere vivi i territori, ma anche a rigenerarli.

Esempi di rigenerazione: si può tornare

Non si tratta di utopie teoriche: in molte realtà italiane il seme della restanza ha già iniziato a germogliare. In Borgo San Lorenzo, in Toscana, il recupero del mercato coperto ha trasformato uno spazio abbandonato in un centro vitale di attività culturali e commerciali, creando nuove occasioni di lavoro e socialità. A Santo Stefano di Sessanio, in Abruzzo, il progetto dell’albergo diffuso ha ridato vita a un borgo medievale semi-abbandonato, attirando nuovi residenti e turisti in cerca di autenticità. Le cooperative di comunità, diffuse in tutta Italia, rappresentano un modello innovativo di impresa sociale che combina commercio, servizi e tutela del territorio, spesso riaprendo botteghe, farmacie e piccoli supermercati.

Non solo retail

Un altro esempio emblematico arriva dal Sud Italia, con Filiera Madeo. Fondata quarant’anni fa da Ernesto Madeo come piccolo allevamento suinicolo nella Sila, oggi è una realtà industriale di riferimento per la Calabria, con quasi 30 milioni di fatturato e salumi esportati in 25 Paesi. Nel suo libro “Il coraggio della restanza”, Madeo racconta come l’impresa agricola possa essere strumento di sviluppo economico e antidoto allo spopolamento. L’azienda ha creato iniziative come l’academy Madeo, che offre ai giovani percorsi formativi e opportunità di lavoro, e ha investito in progetti di welfare aziendale, assistenza sanitaria integrativa e sostegno all’occupazione femminile. “Dobbiamo creare le condizioni per far restare e tornare le persone – sottolinea Ernesto Madeo – investendo su viabilità, servizi, promozione del territorio e sanità locale”.

Il terzo luogo come investimento sociale

Ripensare il retail come terzo luogo significa, in definitiva, investire nel capitale sociale. Significa riconoscere che un negozio aperto è anche una luce accesa sulla speranza di un territorio. Che la funzione economica si intreccia in modo inscindibile con quella sociale. Non si tratta di buonismo o filantropia: si tratta di business sostenibile, capace di creare valore per l’impresa e per la comunità. La rigenerazione dei territori minori, la promozione di filiere corte, la costruzione di reti locali non sono solo azioni etiche, ma anche strategie competitive in un mondo che chiede sempre più radicamento, autenticità, sostenibilità.

Come ha sottolineato Giorgio Di Tullio, non sono le tecnologie a salvarci ma la comunità. Il retail che saprà diventare terzo luogo, che saprà alimentare la restanza, non solo resisterà, ma guiderà il cambiamento. Perché il futuro non si conquista partendo sempre altrove. A volte, il vero atto rivoluzionario è restare o tornare. E ricominciare da casa.

*direttore di Markup e Gdoweek


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