Il fondello referendario della Marchesa
“Caro amico ti scrivo, perché la vedo brutta; ovvero mi riferisco all’allegoria della sinistra italiana smarrita. Come me la vedo brutta! Diceva la Marchesa camminando e guardando in basso sul pavimento a specchio. Questa grottesca e folgorante immagine racchiude una verità amara e pungente sulla sinistra italiana contemporanea: un’istituzione che si aggira incerta e scoperta, incapace di guardarsi davvero allo specchio, ma costretta a farlo, rischiando il ridicolo e il tracollo.
La marchesa, che se la guarda riflessa, rappresenta una sinistra che ha smesso di coprirsi con l’abito solido delle idee forti, delle idee di libertà, delle proposte concrete, della visione chiara. Cammina però sugli specchi, simbolo di riflessione e identità, è vero, ma anche di fragilità: ogni passo rischia di rompere quel poco che resta della propria immagine riflessa, della propria credibilità, come questi 5 referendum che servivano solo alla CGL È un gioco pericoloso, tanto più se ci si espone nella propria nudità politica: slogan stanchi, riflessi di battaglie passate, posture morali più che visioni operative.
Il problema non è soltanto l’assenza di nuove idee, ma l’incapacità di connettersi con la realtà materiale e psicologica del proprio elettorato storico. Operai, giovani precari, insegnanti, intellettuali, disoccupati, e sì, dai, mettiamoci anche quelli che erano capaci di sognare e di inventare nuove idee: sono diventati figure, retoriche, più che destinatari reali di progetti e politiche. La sinistra italiana sembra troppo spesso preferire il dibattito interno, le diatribe pseudo-ideologiche, le guerre di corrente, piuttosto che affrontare con coraggio le trasformazioni radicali del mondo del lavoro, dell’ecologia, della cultura digitale, dell’immigrazione.
Il risultato è una sfilacciatura simbolica e organizzativa: la sinistra non riesce a costruire un immaginario condiviso, né tantomeno a proporre un futuro desiderabile. Cammina dunque sui vetri del consenso perduto, nell’imbarazzo di chi sa di essere osservato mentre cerca, goffamente, di sembrare ancora all’altezza del proprio ruolo storico.
L’alternativa? Non un ritorno nostalgico ai fasti del Novecento, ma un atto di verità: riconoscere la nudità delle proprie idee e rimettersi al lavoro. A piedi scalzi, forse, ma con uno sguardo che guardi oltre lo specchio, verso la realtà e verso chi ancora — ostinatamente — spera in una sinistra che non faccia solo ironia su sé stessa, ma che torni a farsi carne, voce e progetto. Anche perché ormai la marchesa sta diventando troppo vecchia e somiglia sempre di più alla Maria Paola puttana progressista. Te l’ho raccontata già, ma quella era un’altra storia.”
“Purtroppo, Non posso che darti ragione per quello che denunci e proponi. Ti avverto, tuttavia, che inizialmente avrebbe un costo, inteso come uno sgarro agli ideologi che preferiscono vivacchiare di malcontento, anziché prendere il toro per le corna e abbatterlo, oppure rischiare di essere incornati a morte. Ciò che proponi potrebbe sortire all’inizio anche un costo in termini di consenso popolare. D’altronde peggio di così… Meglio una sinistra morta e seppellita (amen), anziché sofferente e agonizzante che suscita solo malinconica pietà. Non basta solo un Landin Furioso a cambiare la politica di sinistra. Che ci sian troppi galli nel pollaio?
Purtroppo un catalizzatore come Enrico, in giro non se n’è visto più da tempo. Facciamocene una ragione. E per favore lasciamo al pascolo buoi dagli occhi stanchi come il buon Prodi e onesti politici come Bersani, purtroppo privo di carisma.
Chi negli anni si è proposto come catalizzatore, non era certo disposto a uscire dalla reazione promossa a risultato acquisito. Troppi gl’interessi di parte che sono emersi già fin dall’energia di attivazione, affinché la reazione andasse a buon fine. Mi dispiace, Carissimo, ne abbiamo parlato in più occasioni e oggi è giunta l’ora di mettere a nudo la ferita.”
Roma, 09,06,25
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