Economia

Goldman Sachs contro Moody’s. Trump e i dazi per salvare il “Big, beautiful bill”


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Buona lettura,

Walter Galbiati, vicedirettore di Repubblica

Un buffetto ai mercati, un monito alla politica alla vigilia del dibattito sulla legge di bilancio, il “Big beautiful bill” che per passare alla Camera deve raccogliere il consenso di quasi tutti i 220 repubblicani contro i 213 democratici.

Il declassamento. Il recente downgrade che l’agenzia di rating Moody’s ha inflitto agli Stati Uniti, portando il giudizio sul debito da tripla A ad Aa1, può essere letto come un avvertimento a chi in questi giorni deve decidere il destino dei conti degli Stati Uniti.

Nessuna sorpresa per i mercati. Per gli investitori il cambio di giudizio ha avuto invece poco valore, perché non è giunto inaspettato, anche se il rendimento dei titoli decennali e trentennali hanno avuto un leggero sobbalzo con un rincaro di 10-15 punti base. Il costo del Treasury a dieci anni è salito oltre il 4,5%, mentre quello del titolo a 30 anni oltre il 5%.

Nessun “Sell America”. Non c’è la sensazione tra gli operatori che nel breve periodo si possa assistere a un “Sell America” generalizzato sui 4,5mila miliardi di dollari tra Treasury e Repo custoditi nei fondi monetari mondiali. E nemmeno tra quelli che giacciono nei portafogli delle banche.

Per tre motivi. 1) La maggior parte dei mandati di investimento delle case d’affari e delle società di gestione non richiede un rating tripla A per i titoli del Tesoro Usa. Li possono quindi comprare e tenere senza problemi di policy e godersi la crescita del rendimento.

2) Le banche, grandi compratrici di titoli di Stato, non dovranno ridurre la presenza di bond statunitensi nei loro portafogli perché dal punto di vista del rischio tra tripla A e Aa1 non cambia nulla.

Ai fini del calcolo del capitale ponderato per il rischio, ovvero del capitale che devono avere per far fronte ai rischi del loro portafoglio, la Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea ha sancito che tra i due livelli non c’è nessuna differenza.

3) Chi ha offerto titoli Usa in garanzia per avere prestiti non dovrà ridurne il valore nominale (haircut) o venderli per cambiarli con altri.

Per la Depository Trust and Clearing Corporation (Dtcc), la società americana che fornisce servizi di compensazione e regolamento delle transazioni tra i partecipanti ai mercati finanziari, quando si fa riferimento alla classe di attività dei titoli del Tesoro Usa, l’haircut dipende dalla scadenza e dal tipo di titolo, ma non dal rating.

L’ombrello della Fed. Se poi a questi tre motivi si aggiunge che la Federal Reserve può sempre intervenire comprando titoli di Stato Usa in caso di vendite fuori controllo, ben si capisce come per chi opera sui mercati non ci sia alcun pericolo sui Treasury Usa che anzi sono liquidi e offrono oggi un rendimento ancora maggiore.

Il monito alla politica. Il cambio di rating di Moody’s ha più un valore mediatico e suona come un avvertimento alla politica, perché è giunto pochi giorni prima del discorso di Trump al Congresso che avvia il dibattito sulla legge di bilancio.

I conti Usa. Gli Stati Uniti viaggiano con un deficit di 2mila miliardi di dollari l’anno e sono seduti su una montagna di debiti pari a 36mila miliardi, oltre il 120% del Pil. E di questi 28,8 miliardi (100% del Pil) sono in mano al pubblico.

La deriva. Solo dieci anni fa, il debito era di 12,6mila miliardi, un terzo del valore attuale. Gli interessi per mantenerlo si mangiano il 14% dell’intera spesa statunitense, la seconda voce dietro le spese sociali (22%), davanti a Difesa (13%), Medicare (13%) e Health (13%).

Big beautiful tax bill. Uno scenario tutt’altro che confortevole a cui si somma la nuova proposta di legge di Trump, denominata “Big beautiful bill”, che punta, tra le altre cose, a prorogare i tagli fiscali che il presidente aveva introdotto durante il suo primo mandato nel 2017 con il Tax Cuts and Jobs Act (Tcja) e in scadenza quest’anno.

Il conto salato. Secondo i calcoli del Congressional Budget Office e del Joint Committee on Taxation, la proroga dei tagli fino al 2028 costa da sola 4mila miliardi a cui si devono aggiungere ulteriori 800 miliardi di tagli di tasse.

La pezza. Nei piani della Casa bianca, queste mancate entrate dovrebbero essere in parte compensate da tagli alla spesa e dai limiti ai sussidi verdi per complessivi 2mila miliardi, e da una crescita economica che questi incentivi dovrebbero favorire.

Il taglio di Moody’s: uscite certe, entrate incerte. La manovra così come è stata presentata non ha convinto l’agenzia di rating Moody’s che nel motivare la sua scelta ha proprio citato le politiche fiscali che se da un lato confermano i tagli delle tasse, non possono certo garantire che la spesa verrà sicuramente ridotta.

Nero su bianco. “Non riteniamo – hanno scritto gli analisti di Moody’s – che le attuali proposte di bilancio in esame porteranno a riduzioni significative della spesa obbligatoria e dei disavanzi pluriennali. Nel prossimo decennio prevediamo deficit più elevati a causa dell’aumento della spesa sociale, mentre le entrate pubbliche rimarranno sostanzialmente invariate”.

Conti peggiori. Il risultato sarà l’aumento del deficit che Moody’s stima al 9% a fine 2035, e di conseguenza anche il debito.

Il mondo è bello perché è vario. Eppure non tutti la pensano così. La banca d’affari Usa, Goldman Sachs, stima che i tagli fiscali saranno annullati dalle entrate legate ai dazi, che avranno però effetto negativo sulla crescita, nonostante la spinta degli incentivi previsti in manovra.

Goldman sachs contro Moody’s. Secondo Goldman Sachs, il Big beautiful bill aumenterà il deficit nei prossimi anni rispetto alla politica attuale di circa lo 0,4% del Pil, ma sarà più che compensato dalle entrate dei dazi.

Ben 400 miliardi di incassi. Le importazioni nel 2024 sono state pari all’11% del Pil: “Supponendo – scrive Goldman Sachs – che diminuiscano in modo approssimativamente proporzionale all’aumento dei dazi di 13 punti percentuali, le tariffe dovrebbero garantire un aumento di circa l’1,25% del Pil, ovvero di circa 400 miliardi di dollari nell’anno fiscale 2026”.

Deficit e debito in linea con oggi. Alla luce di questi conti e ipotizzando anche che i tagli di tasse previsti fino al 2028 verranno mantenuti per tutti il decennio, Goldman Sachs stima che, grazie alle entrate aggiuntive dei dazi, il deficit non aumenterà come prevede Moody’s fino al 9%, ma rimarrà al di sotto del 7%. E così anche il debito che in rapporto al Pil rimarrà in linea coi livelli attuali.

I dazi salveranno il bilancio. Insomma, secondo la banca d’affari Usa saranno i dazi a salvare il bilancio Usa dal tracollo, sempre che non impattino la crescita a tal punto da trasformarla in recessione.


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