Ambiente

Global Gender Gap, ancora 123 anni per raggiungere la parità di genere

L’Italia vivacchia nella parte bassa della classifica. Ancora una volta il Global Gender Gap, redatto ogni anno dal World Economic Forum, certifica quanto il Paese sia lontano dagli standard di eccellenza in tema di parità di genere e come si posizioni nella metà bassa della lista dei 148 Paesi presi in considerazione. In realtà l’edizione 2025 certifica che siamo passati dall’87esimo posto all’85esimo. Un leggero miglioramento, ma sarebbe da comprendere se sia dovuto a un passo avanti dell’Italia o al passo indietro di un paio di nazioni che lo scorso anno ci precedevano. Un altro dato può illustrare meglio il posizionamento italiano: In Europa siamo il 35esimo Paese su 40 e dopo di noi compaiono solo Macedonia, Romania, Repubblica Ceca, Ungheria e Turchia. Tutti gli altri ci precedono che siano Paesi mediterranei, nordici, baltici, ex russi.

Accesso all’educazione

A tenere a galla l’Italia è ancora una volta il comparto dell’educazione, dove si posiziona al 51esimo posto con uno score dello 0,998. Le ragazze, che dai primi anni Novanta costituiscono oltre la metà dei laureati in Italia, oggi rappresentano il 59,9% del totale dei laureati, secondo gli ultimi dati Almalaurea. Permane una differenza fondamentale delle percentuali femminili fra materie Stem e umanistiche, con le prime ferme ancora al 41,1% mentre nei gruppi educazione e formazione (94,5%), linguistico (84,5%), psicologico (81,1%), medico-sanitario (75,1%) e arte e design (72,1%) le donne restano nettamente la maggioranza. Tasto dolente informatica e tecnologie Ict che conta solo il 14,5%, così come

ingegneria industriale e dell’informazione il 26,3% e scienze motorie e sportive il 30,8%. Resta il fatto che le studentesse si laureano puiù spesso in corso e hanno voti più alti dei compagni di studi.

Il nodo del lavoro

Il problema arriva nel mondo del lavoro, come evidenzia ancora una volta il Global Gender Gap. Vero tallone d’Achille per l’Italia è infatti l’occupazione femminile, l’accesso alle carriere e la differenza salariale: in questo caso il punteggio è di solo 0,599 che fa scivolare il Paese al 117esimo posto. Se è pur vero, infatti, che la percentuale di donne che lavorano è vicino ai massimi storici (54,1%), è anche vero che il Paese è ben lontano dagli obiettivi di Lisbona che indicavano il 60% come target al 2010 (15 anni fa) ed è sotto la media europea inferiore di 12,6 punti con il valore più basso tra i 27 paesi dell’Unione, secondo il rapporto Cnel-Istat 2025 “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità”.

«Con la disponibilità di talenti ormai riconosciuta come uno dei principali ostacoli alle strategie economiche e aziendali, i Paesi in grado di attingere all’intero bacino di competenze disponibili — integrando appieno il vasto potenziale femminile ancora sottoutilizzato — avranno un chiaro vantaggio competitivo, ponendo basi più solide per una crescita sostenibile di lungo periodo» avverte il report del Wef, che indica come a livello globale la presenza femminile nell’economia resta ancora limitata al 40,2% della forza lavoro e al 28,8% dei ruoli dirigenziali.


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