Economia

Food & Beverage, cresce l’export italiano negli Usa ma preoccupa l’impatto dei dazi di Trump

L’ombra dei dazi di Trump si staglia sulle prospettive dell’export agroalimentare italiano. Nell’attuale clima di tensioni commerciali, che mina la crescita economica internazionale e spinge le imprese a posticipare gli investimenti, tariffe aggiuntive del 10% o del 20% avrebbero un duro impatto su diversi prodotti che il nostro Paese esporta, da vino e bevande a salumi, carne e pasta. Il posizionamento qualitativo delle produzioni aiuta la Penisola a difendersi dalle politiche statunitensi, considerato che il peso dell’alta gamma sulle vendite del comparto verso gli Stati Uniti è significativo per diverse filiere, come latte e latticini, pasta e dolci, carni, cereali e olio. A descrivere questo scenario è uno studio del Research Department di Intesa Sanpaolo – Governare l’incertezza: strategie per il futuro dell’agro-alimentare – illustrato nel corso dell’undicesima edizione del Food Summit 2025, l’appuntamento organizzato dal Gruppo Food e dedicato ai vertici della business community del settore Food & Beverage.

La fotografia del comparto

L’evento dal titolo “Incertezza globale, certezza italiana: la risposta dell’Italian food” ha evidenziato la rilevanza del mercato statunitense per le esportazioni agroalimentari della Penisola, che continuano a crescere: nel primo trimestre del 2025 l’export verso gli Usa ha riportato un incremento del 10,9% nel confronto con lo stesso periodo dello scorso anno, un aumento superiore a quello registrato da Francia (8%) e Spagna (4%). Considerando tutto il 2024, il valore dell’export diretto sull’altra sponda dell’Atlantico è stato di 7,8 miliardi di euro, distribuiti tra industria alimentare (4,9 miliardi), bevande (2,8 miliardi) e agricoltura (114 milioni): rappresenta una quota dell’11,6% sul totale delle esportazioni del nostro Paese. In particolare, gli Stati Uniti sono il secondo mercato di destinazione, posizionandosi dopo la Germania (10,6 miliardi) e prima della Francia (7,5 miliardi).

La performance si inserisce nel quadro di una tendenza generale positiva: infatti, lo scorso anno le esportazioni totali del comparto hanno raggiunto i 67,5 miliardi di euro – al secondo posto tra i principali settori, dietro la meccanica – segnando una crescita dell’8,3% rispetto al 2023. Tra i segmenti che hanno sostenuto questo trend sul podio figurano i prodotti agricoli e della caccia (8,7 miliardi di euro), il vino (8,1 miliardi), la pasta e i prodotti da forno (7,6 miliardi); diverse altre filiere hanno dato il loro contributo, tra cui latticini e formaggi (6,3 miliardi), conserve di frutta e verdura (5,9 miliardi), carni e salumi (4,8 miliardi) e oli e grassi (4,3 miliardi).

Lo scenario

Questi dati si inseriscono in uno scenario globale in continua evoluzione, tra la politica commerciale più aggressiva della presidenza Trump – basata su dazi reciproci, universali e settoriali – le sfide poste dalla transizione ecologica, le tensioni geopolitiche, i cambiamenti climatici e i costi di energia e materie prime. Lo studio sottolinea che l’incertezza sulle politiche economiche ha raggiunto i massimi e la crescita annua del Pil è più debole a livello mondiale (dal 3,2 del 2023 e 2024 si scende a 3 nella previsione per il 2025). Tuttavia, fa notare che è atteso un recupero del potere d’acquisto, grazie alla tenuta dell’occupazione, l’aumento dei salari nominali e il rientro delle tensioni inflazionistiche: una dinamica che avrà effetti positivi sulla spesa. In particolare, la domanda interna per le imprese agroalimentari dovrebbe crescere dello 0,6% nel 2025 e 2026, con la spinta legata al recupero delle spese finali delle famiglie italiane. Cruciale sarà anche il contributo della domanda proveniente dal canale Ho.re.ca., grazie alle attese di buon andamento dei flussi turistici (Giubileo, Olimpiadi).

Sul fronte dazi, i ricercatori di Intesa Sanpaolo stimano l’impatto che tariffe addizionali potrebbero avere sull’export agroalimentare verso gli Stati Uniti. Ad esempio, per quanto riguarda il vino, un dazio del 10% e del 20% potrebbero comportare una variazione negativa a prezzi correnti, rispettivamente, del 2,3% e del 4,7%. “Il posizionamento qualitativo dei nostri prodotti alimentari ci proteggerà, almeno in parte, dai dazi americani. La quota di mercato italiana sulle importazioni Usa è maggiore nella fascia alta di qualità rispetto al dato totale; per molte filiere il peso dell’alta gamma sull’export alimentare verso gli Usa supera l’80%”, ha fatto notare Gregorio De Felice, Chief Economist di Intesa Sanpaolo nel corso della giornata.

Per rispondere all’inasprimento delle tariffe, le aziende del comparto valutano l’adozione di diverse strategie. Tra le strade prese in considerazione, la ricerca di nuovi clienti in altri mercati (una soluzione indicata da circa la metà dei rispondenti alla survey di Intesa); e ancora, posticipare la tempistica degli investimenti, rivedere i listini verso gli Usa, anticipare le consegne e le vendite per i clienti americani, valutare possibili triangolazioni e aprire filiali produttive negli Stati Uniti.

“I costi di materie prime/energia e cambiamenti climatici restano in cima alle preoccupazioni delle aziende. Gli investimenti in sostenibilità sono sempre più una leva strategica: le imprese agro-alimentari con certificazioni biologiche mostrano risultati migliori in termini di redditività e crescita di fatturato”, ha poi aggiunto De Felice.

Durante l’evento è intervenuta anche Laura Asperti, Global Head of Food & Beverage and Distribution, Divisione IMI CIB di Intesa Sanpaolo, che si è soffermata sull’attesa attività di concentrazione, anche a livello europeo, del Food & Beverage italiano. “Nel 2024, in generale l’attività di M&A ha registrato un incremento del valore complessivo delle transazioni del 5% a livello globale e del 20% in Italia, nonostante una flessione del 18% nel numero di operazioni sia su scala globale che nazionale. Anche in questo scenario, il settore agroalimentare si è distinto per la sua vivacità: a livello globale ha mantenuto stabile il numero di operazioni, ma ha registrato un incremento in termini di valore superiore al 50%, trainato in particolare da importanti operazioni nel mercato americano”, ha spiegato l’esperta. E ha poi aggiunto: “I primi mesi del 2025 si stanno caratterizzando per una dinamicità ancora contenuta, ma ci attendiamo una ripresa nella seconda metà dell’anno, sostenuta dalla stabilizzazione dei mercati e dal raggiungimento di nuovi accordi sul commercio internazionale”.

In questo contesto, l’adozione di diverse strategie di internazionalizzazione può favorire l’espansione delle aziende del settore. Tra i modelli prevalenti, vi sono le acquisizioni cross-border – distributori locali, competitor stranieri – e gli investimenti greenfield, vale a dire verso nuovi stabilimenti. Un argomento approfondito da Marco Eccheli, Partner & Managing Director di AlixPartners, che ha evidenziato anche il ruolo dei fondi di Private Equity, “che vedono il 70% delle loro operazioni di internazionalizzazione riguardare mercati extra-Ue, in particolare Stati Uniti, Canada, Medio Oriente e Sudest Asiatico”, ha fatto notare nel corso dell’evento. “Questi attori, inoltre, svolgono la funzione di acceleratori: infatti, le realtà alimentari tricolori supportate da PE hanno registrato un +47% di crescita del fatturato estero e un +37% dell’occupazione”. Eccheli ha poi rimarcato l’importanza della premiumizzazione – con focus su prodotti high-end per mercati maturi – definendolo “l’approccio strategico vincente affinché le realtà del Food&Beverage siano portavoce della qualità della filiera agroalimentare della Penisola nel mondo”.

Infine Massimo Beduschi, Ceo e Chairman WPP Media in Italia e Chairman WPP in Italia, ha offerto un’analisi del mercato italiano sul piano della pubblicità: “Il nostro report WPP BAV Best Countries, basato sui dati di 17 mila consumatori in 89 Paesi, mette in evidenza quanto il Belpaese sia percepito globalmente come il Paese leader per il ‘Great Food’, posizionandosi al primo posto nelle preferenze degli intervistati, seguito da Spagna e Messico. Questa leadership non deriva solo dall’eccellenza delle nostre materie prime, ma dall’esperienza complessiva che sappiamo offrire. La comunicazione diventa quindi un asset fondamentale per raccontare il prestigio dei brand. Il nostro report semestrale ‘This Year Next Year’ appena pubblicato con le previsioni pubblicitarie globali vede il mercato internazionale dell’advertising a 1,08 trilioni di dollari, con una crescita del 6% prevista per il 2026. In questo contesto, il mercato italiano prevede 13 miliardi di euro di investimenti, in crescita di circa il 3-4 %”.


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