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Femminicidio di Saman Abbas, il fratello in Aula: “La buca scavata dai cugini e lo zio. A casa? Mia madre non poteva parlare”


Secondo Ali Heider, il fratello di Saman Abbas, a scavare la fossa per la 18enne uccisa a Novellara (Reggio Emilia) sono stati tutti i tre gli impatati, zio e cugini. Dopo la scomparsa della sorella, ha testimoniato nel corso del processo d’appello a carico del padre e della madre a Bologna, “ho chiesto diverse volte ai cugini Ikram e Nomanhulaq e allo zio Danish dov’era mia sorella, ma ogni volta che iniziavo a piangere mi dicevano di stare zitto” finché una volta “mi hanno risposto che non me lo potevano dire, ma che non mi dovevo preoccupare perché là dov’era stava bene, che era in paradiso”. In primo grado sono stati condannati all’ergastolo i genitori di Saman Abbas e lo zio Danish Hasnain a 14 anni.

“A casa le decisioni importanti le prendeva il papà e si confrontava con altri uomini della famiglia”, ha detto ancora Heider. “Mia mamma non poteva parlare. Non sono mai stato picchiato da mia mamma e nemmeno Saman. Non sono mai stato rinchiuso da mia mamma e ho sempre avuto un bel rapporto con lei e anche mia sorella ha sempre avuto un bel rapporto con mia mamma”. Quando il difensore della madre, l’avvocato Simone Servillo, gli ha chiesto se la sorella fosse “mai stata picchiata da qualcuno”, il teste ha risposto con un “no”, mentre alla domanda se la madre fosse mai stata percossa ha replicato con un “non ricordo”.

Il fratello ha anche parlato delle ragioni per cui ha deciso di collaborare: “Prima ero traumatizzato e non avevo manco le forze di parlare, avevo paura” ma poi “ho deciso a parlare per la giustizia. Mio papà mi diceva di non parlare dei cugini, mi diceva ‘almeno quelli che si sono salvati lasciali fuori’” e “tutti comunque dicevano di non parlare, i miei genitori, i miei parenti, mia zio”. Poi gradualmente il giovane, che all’epoca dei fatti aveva 16 anni, “piano piano” ha “iniziato a raccontare tutte le cose”.

Heider ha ricostruito passo passo la notte in cui la sorella, dopo essere uscita di casa con i familiari, non è più tornata. Parole che hanno fatto commuovere la mamma, Nazia Shaheen, che sentendo il racconto del figlio si è portata le mani al volto e con un fazzoletto si è asciugata le lacrime. Il ragazzo ha ribadito di aver visto la sorella, seguita dai genitori, incamminarsi fuori casa, intorno alla mezzanotte del 30 aprile 2022. Con loro, a quanto ha riferito il ragazzo, c’erano anche lo zio Danish e i cugini. “Ho visto mio zio Danish afferrare mia sorella Saman da dietro con il braccio. Mia sorella era sullo stradello che portava alle serre e lo zio Danish l’ha presa alle spalle mentre Saman si stava allontanando da casa nostra. Mio zio era dietro alla schiena di Saman che era ancora sullo stradello”. Quanto alla mamma, “non mi ricordo se poteva vedere la scena”, ha detto il giovane, suscitando la commozione della donna.

Una delle domande centrali per il processo è stata poi posta allo zio Danish Hasnain dal suo difensore. Chi ha ucciso Saman? “Non lo so, non c’ero, non ero lì”. Ma in seguito, ha precisato poco più avanti lo stesso Hasnain, “ho saputo, tramite Pakistan, che sono stati i genitori a uccidere la figlia”. Il padre Shabbar Abbas e la madre Nazia Shaheen potranno presto difendersi da queste affermazioni, se lo riterranno: entrambi hanno annunciato l’intenzione di parlare nella prossima udienza, giovedì 20 marzo.

Per la Procura di Reggio Emilia Hasnain è l’esecutore materiale dell’omicidio, per il fratello della vittima è l’uomo che prese per il collo la ragazza e la portò nell’oscurità, per i giudici di primo grado, che lo hanno condannato a 14 anni, è “compartecipe” del delitto insieme ai genitori, condannati all’ergastolo e colui che ne ha soppresso il cadavere. Di certo Hasnain sapeva dove la ragazza è stata sepolta: a novembre 2022 è stata la sua indicazione a consentire agli inquirenti di ritrovarla, dopo un anno e mezzo di ricerche vane.

Aiutato da un interprete, alternando discorsi in lingua pachistana ad altri in un italiano confuso e dal contenuto non sempre lineare, Danish Hasnain, ascoltata la testimonianza del fratello di Saman, che lo ha nuovamente accusato, ha voluto dare la sua versione alla Corte di assise di appello, in diverse parti coincidente con quello che aveva detto in passato, con alcuni elementi di novità. La sera del 30 aprile 2021, ha spiegato, stava dormendo quando arrivarono a svegliarlo Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijiaz, i due cugini di Saman imputati e assolti in primo grado, dicendo che “c’era stato un casino”. A quel punto Danish sarebbe andato con loro verso la vicina casa degli Abbas. “Arrivammo tra la sesta e la settima serra – ha raccontato – e lì, nello stradello, c’era il corpo di Saman. Iniziai a piangere e dissi: cosa ha combinato mio fratello! (Shabbar, ndr). Avevamo paura e non sapevamo cosa fare. Quindi presi il corpo di Saman tra le mie mani, camminai verso la casa degli Abbas, ma i due cugini mi fermarono. Poi sono svenuto”.

“I due cugini imputati mi buttarono dell’acqua per svegliarmi e io iniziai a dire parolacce contro mio fratello”, ha aggiunto, precisando che Nomanhulaq e Ijaz gli dissero di prendersi lui la colpa e “di non mettere di mezzo la donna della famiglia”, la madre di Saman, ma di risolvere la vicenda “tra uomini”. Sempre i due cugini, ha aggiunto Danish, presero allora il corpo di Saman e insieme a lui andarono verso il luogo dove poi è stato trovato il cadavere sotterrato, un casolare vicino alla casa della famiglia a Novellara. Sarebbero stati sempre loro due e non lui a scavare la fossa. Danish, ha detto, li avrebbe solo “aiutati a pulire la terra” e avrebbe dato dei baci alla nipote morta.

Dopo le dichiarazioni spontanee dello zio Danish Hasnain, nella prossima udienza di giovedì 20 marzo, dovrebbero parlare i due genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen. Entrambi, attraverso i loro difensori, hanno infatti preannunciato l’intenzione di parlare, il primo anche la disponibilità a rispondere a domande. Shabbar Abbas ha parlato a lungo nell’ultima udienza del processo di primo grado, mentre la moglie è stata estradata in Italia dal Pakistan ed è apparsa in aula per la prima volta in appello. Entrambi sono stati condannati all’ergastolo.


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