Enzo Iacchetti: «Che stupore Maddalena Corvaglia: non riuscivo a credere che si fosse così tanto innamorata di me. È stata una grande storia d’amore»
C’è stato un tempo in cui Enzo Iacchetti si guadagnava da vivere suonando nei night club, un quarto d’ora prima delle spogliarelliste. «Mi tiravano addosso i mozziconi di sigaretta. L’unico applauso lo prendevo quando annunciavo: “E ora ecco a voi Jessica”». Eppure, già allora, quel ragazzo lombardo sapeva cavarsela, come ha raccontato al Corriere. «15 mila lire qua, 20 mila là. La pagnotta la portavo a casa».
Il primissimo incontro col palco, anni prima, fu ancora più surreale: «Ero timido, non parlavo mai. Venne in paese il regista di una compagnia dialettale. Disse ai miei: “Ci serve un bambino che non dica nulla. Vostro figlio è perfetto”. Mi misero a servire il tè alle amiche della zia. In silenzio. Ma io: “Ci volete anche la fetta di limone?”».
A nove anni, nella trattoria del paese, vide in tv Celentano voltarsi di spalle durante 24 mila baci. «“Voglio diventare come lui”», pensò. Il resto lo fece una chitarra comprata lavorando nella “fabbrichetta del ghiaccio” al confine svizzero. Mille lire l’ora, bagnato fradicio fino alle ossa, a fine turno. Ma se papà Antonio nascondeva la chitarra per paura che gli facesse perdere tempo, la mamma gliela passava di nascosto dalla finestra.
Scartato a un colloquio di lavoro perché considerato «un comunista» (portava i capelli lunghi, suonava alle feste dell’Unità), Enzo Iacchetti si rifugiò nel cabaret. Quando tentò la via televisiva, si ritrovò a raccogliere i fogli e andarsene da un provino andato male. «“Basta, è finita, farò il tabaccaio”». Aveva già pagato la prima rata di un bar sul lago. Ma una settimana dopo, lo richiamarono. Addio caparra, benvenuta carriera.
Il primo a crederci davvero fu Maurizio Costanzo. «Mi prese per una puntata, ne ho fatte 187. A un certo punto mi disse: (lo imita) “Da adesso però non ti pago più, sei già famoso”». Per lui è stato «un secondo papà». Pianse per tre giorni, dopo la sua morte. «Ho ancora il suo numero salvato in rubrica, alla M come Mauri. Ogni tanto penso: “Aspetta che lo chiamo”».
Il successo, quello vero, arriva nel 1994, con Striscia la notizia. All’inizio un contratto di una settimana, poi l’audience che sale e il sodalizio eterno con Ezio Greggio. «Lui è il mio contrario: sportivo, energico. Io sono tranquillo, casalingo. Esco con gli amici delle elementari che mi trattano come a scuola».
Anni d’oro, e notti che diventavano tornei improvvisati davanti al Derby Club:
«Finito lo spettacolo, io, Faletti, Giobbe Covatta, Teo, Diego, Malandrino e Veronica eravamo talmente euforici che in piena notte ci mettevamo a giocare in mezzo alla strada. Non si vedeva niente, a volte era difficile persino trovare l’ingresso del Derby, una scalinata sottoterra con una luce fioca. Pongo portava il pallone. Dopo il primo tiro, passavamo il tempo a cercarlo tra le auto e le piante. Ma era bello».
In mezzo, l’amore. Quello grande arriva a cinquant’anni, con Maddalena Corvaglia. «Lei per me è lo stupore. Non riuscivo a credere che si fosse innamorata di me così tanto. Era molto giovane, ma molto più matura di me alla sua età. È stata una grande storia d’amore». Oggi Enzo ne parla con affetto, senza rimpianti. «Ho avuto 4 o 5 amori importanti. In mezzo, per dimenticare, ho usato il chiodo scaccia chiodo. Non funziona. Se sei davvero innamorato, anzi ti penti».
Nonostante tutto, è rimasto in buoni rapporti con tutte. «Mi hanno fatto del bene e dato tanta gioia. Quando le incontro non provo niente, resta l’amicizia, che è il sentimento più bello». Ma se un altro amore arriverà, non lo rifiuterà. Ma saprà guardarlo con disincanto. «Che una si innamori di me perché sono simpatico, ragiono e mi commuovo, non ci credo più. Forse potrebbe volere la mia reversibilità».
Non ama il denaro, non ha yacht né auto di lusso. «Possiedo un’auto piccola per andare in paese. Non ho vizi». Quando Drupi lo prende in giro per l’ipocondria, Enzo ride e confessa: «Porto solo la scatoletta con la pasticca serale. Ma su un volo Milano-Pescara ho salvato una hostess con quattro Bentelan da 0,5. Il fidanzato mi chiama ogni Natale per ringraziarmi».
Settantadue anni, un cane che si chiama Lucino in onore di Lucio Dalla («lo trovai il giorno in cui morì») e un sogno che ancora non si realizza: «Il cinema non mi ha mai voluto. Sono tutti romani, sempre gli stessi. Aspetto ancora che mi chiami Pupi Avati».
In attesa, si gode la stima della gente. «Non me lo aspettavo. Il successo che ho avuto, la gente che mi vuole bene. Questa, per me, è la vera soddisfazione».
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