Economia

Engle “Il prezzo del greggio raddoppierà”

ROMA – Le conseguenze economiche di quest’ennesima guerra saranno pesantissime. Per il ruolo politico centrale dell’Iran ma soprattutto perché intorno a petrolio e gas ruota ancora l’intera struttura economica mondiale». Mentre parliamo al telefono con Robert Engle, professore emerito di economia al Mit e alla New York University, premio Nobel nel 2003, la situazione precipita. E non solo sul fronte militare-diplomatico, con la cancellazione del negoziato in Oman: un drone israeliano colpisce la raffineria di Fajr-e Jam che si alimenta nel South Pars, il maggior giacimento mondiale di gas sul confine marittimo con il Qatar.

E ora, cosa farà l’America?

«Trump fin dall’inizio ha sostenuto l’iniziativa di Netanyahu. L’Iran con i suoi proxy Houthi, Hezbollah e Hamas, da troppo tempo sta devastando il mondo per poter essere lasciato fare. Però allo stesso tempo l’amministrazione Usa si rende conto che la minaccia alle vie del petrolio fa saltare tutti i programmi di riduzione dell’inflazione, e quindi azzera le possibilità che la Fed riduca i tassi nella misura che il presidente chiede: si parlava addirittura di un intero punto percentuale. Niente più di tutto questo, così va rivista l’intera strategia economica degli Stati Uniti. Oggi circolano previsioni autorevoli che se l’Iran blocca lo Stretto di Hormuz il prezzo del greggio raddoppierà a 150 dollari per barile».

Ma il petrolio è ancora centrale in un mondo che va verso rinnovabili e tecnologie “energy saving”?

«Eccome se lo è. Ora più che mai, anche per l’importanza che il petrolio assume nella psicologia degli investitori, il vero vettore di paura in momenti come questo. È vero che le industrie petrolifere fronteggiano il cosiddetto “termination time”. Se nel 1975 la Banca Mondiale calcolava che servivano 0,12 tonnellate equivalenti di petrolio per produrre mille dollari di Pil, oggi ne bastano 0,05. Però il punto di rottura non è ancora superato. Anzi è ben lontano. Purtroppo, aggiungo, perché il riscaldamento globale è tutt’altro che una fake news e i danni al pianeta si aggravano di giorno in giorno».

E allora, che ne è del “termination time”?

«È una realtà. Le aziende petrolifere lo sanno perché i valori in borsa scendono, si assiste a un progressivo consolidamento del settore, le varie carbon tax e altre misure di ridimensionamento del fossile ne stanno minando i fondamenti economici. Eppure il greggio rimane la risorsa numero uno del pianeta. Ecco che l’Iran, che vale il 3% del mercato mondiale, diventa decisivo. Anche per la possibilità di bloccare Hormuz, così come gli Houthi bloccano l’accesso al Mar Rosso attraverso Bab-el-Mandeb. In entrambi i casi, a nulla valgono le rassicurazioni o le bombe intelligenti degli americani, perché la circolazione delle petroliere è già rallentata».

Quali lezioni dobbiamo trarne?

«Mi auguro che ne tragga una lezione Trump: che bisogno c’era di diffondere incertezza e confusione, al punto che i maggiori centri di ricerca hanno abbassato nettamente le previsioni di crescita, inventandosi la questione dei dazi? Mi basterebbe che, di fronte a problemi reali come questa guerra, consultasse finalmente il Congresso e non agisse più in maniera istintiva e velleitaria».


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