Economia

Droni, satelliti, startup: la Puglia trampolino della Space economy

BARI – Nel salone spoglio del Binp – l’incubatore di startup al Politecnico di Bari Davide Vittori tira fuori da un armadio una scatoletta nera: «Simula un satellite Cubesat di tre unità da 10×10 centimetri l’una, che in orbita sarà alimentato dal nostro pannello solare». Ed eccolo, il pannello ultraleggero ideato e sviluppato dalla sua Astradyne, che parte piegato su se stesso e poi si apre grazie a «un substrato in tessuto molto resistente, simile a quello che si usa per le tute dei pompieri. A parità di massa e di volume genera il doppio di potenza di un pannello solare classico». Vittori, 29 anni, una laurea alla Bocconi e un paio d’anni in Goldman Sachs, è figlio d’arte – suo padre è astronauta – e proprio quel richiamo lo ha portato a Bari, dove ha preso un dottorato in Space Economy e ha fondato la startup assieme ad altri colleghi».

La rete dalla Puglia al mondo intero

Ma quello di Astradyne è solo uno dei tanti punti di intersezione di una rete sempre più fitta che copre la Puglia e la collega al mondo intero, a partire dalle agenzie spaziali di Italia e Unione europea. Una rete che adesso – nell’era in cui anche noi profani alziamo gli occhi al cielo e capiamo che lo Spazio è sempre più strategico sotto il profilo economico così come quello militare – punta a fare il grande salto di qualità e di dimensioni nel business spaziale. «Il distretto pugliese è in evoluzione – spiega Domenico Favuzzi, fondatore e ad di Exprivia, che dal quartier generale di Molfetta, alle porte di Bari, è diventato un colosso da oltre 300 milioni di fatturato nell’information technology e ha attività anche nel settore spaziale – e c’è da sperare che diventi un polo di portata perlomeno europea; specie adesso che la situazione geopolitica sta cambiando».

Francesco Cupertino, 53 anni, rettore del Politecnico di Bari, non si accontenta di elencare i successi come «la centralina di controllo del motore per droni Catalyst, progettata interamente nei nostri laboratori», ma vorrebbe vedere «l’effetto SpaceX». Niente tentazioni muskiane, ma una constatazione: «Quando sono andato in America a visitare SpaceX ero di gran lunga il più anziano, circondato da giovanissimi ingegneri. Mi hanno spiegato che dopo quattro o cinque anni quasi tutti se ne vanno, spesso per creare la loro startup che poi lavorerà per SpaceX». Ed è questo, sostiene, quello che potrebbe mancare in Puglia, «se le realtà pur eccezionali che abbiamo non riescono a creare un indotto. Per gli studenti ci vorrebbero corsi obbligatori di imprenditorialità».

Giuseppe Acierno, presidente e direttore generale del Distretto aerospaziale pugliese
 

Giuseppe Acierno, presidente e direttore generale del Distretto aerospaziale pugliese
 

 

Giuseppe Acierno, presidente e direttore generale del Distretto aerospaziale pugliese

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Il salto qui, del resto, è cominciato all’inizio degli anni 2000 sulle spalle dei giganti presenti da decenni e che oggi sono rappresentati da Leonardo, con tre stabilimenti e circa 3mila dipendenti, e Avio Aero Ge, con uno stabilimento e ottocento persone. Ma se loro sono il trampolino, l’aerospazio sta saltando in alto anche grazie a una certa lungimiranza della macchina politico-amministrativa. «Quindici anni fa qui sullo Spazio non si faceva nulla – racconta Giuseppe Acierno, che guida il Distretto tecnologico aerospaziale negli edifici di un vecchio ospedale psichiatrico alle porte di Brindisi – e adesso siamo a un miliardo e mezzo di fatturato con circa 8mila addetti; come Dta, tra le altre cose, abbiamo creato e gestiamo un incubatore dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, che è il primo nel Sud Italia; un hub per l’innovazione digitale e lo spazioporto di Grottaglie». Cinquanta chilometri in direzione ovest ed eccoci proprio a Grottaglie: il giovane ingegnere Stefano Guagnano, uno dei duecento assunti dal Distretto, armeggia tra i droni per misurare i segnali di disturbo provenienti dai “payload”, cioè gli strumenti imbarcati. Sulla pista sfrecciano i caccia della Marina Militare, al primo piano della torre di controllo il Dta fa i test sui droni.

Le tute bioniche, l’analisi dei dati e i satelliti

Il territorio, le imprese, le università. Una rete che comprende realtà piccolissime come Astradyne o la Reaspace, un’altra startup che a Fasano produce una tuta bionica in grado di percepire quando chi la indossa in assenza di gravità sta soffrendo di atrofia muscolare, attivando immediatamente stimolazioni elettriche. Ma anche i grandi gruppi come Exprivia: «Il nostro core business è l’acquisizione e il trattamento dei dati – spiega ancora Favuzzi – che in questo settore facciamo ad esempio con l’Esa, archiviando le informazioni che arrivano dai loro satelliti e dalle stazioni a terra». O ancora, a Mola di Bari, la Sitael, oggi primo produttore italiano di satelliti.

E poi le tante piccole e medie imprese. Sempre a Bari, a due passi dal faro di San Cataldo, ecco Giovanni Sylos Labini. Una laurea in Fisica, la sua Planetek fa 20 milioni di fatturato con 130 dipendenti: offre «servizi di analisi dei dati che possono essere usati direttamente dai clienti». Significa, ad esempio, un sistema come Rheticus, «che può osservare spostamenti del suolo nell’ordine di qualche millimetro». La nuova frontiera, «inaugurata proprio a gennaio, quando abbiamo lanciato il nostro primo satellite Aix», prevede che invece di raccogliere i dati e poi trasmetterli a terra, adesso il satellite li elabori direttamente a bordo risparmiando tempo e risorse.

Grottaglie si congeda con l’ultimo rombo di un caccia che decolla. A una manciata di chilometri il colosso sofferente dell’ex Ilva e soprattutto le sue ricadute sul territorio: polvere nei polmoni e un indotto che non lascerà nessuna storia. «Quando mi hanno spiegato che il primo fornitore dell’Ilva per valore erano le imprese di pulizie non ci volevo credere», dice il rettore Cupertino. E si capisce che l’alternativa per un altro modello di sviluppo la vede anche nel cielo sopra di lui.


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