Droni israeliani su Iran e Yemen: nel mirino anche il leader Houthi

Che non sarà una guerra-lampo quella lanciata da Israele contro la più spietata teocrazia al mondo, a un passo dall’arma nucleare, lo confermano il secondo giorno e la terza notte di conflitto appena trascorsi. I raid israeliani sui siti militari, atomici ed energetici dell’Iran sono proseguiti in almeno 15 località del Paese, fino a notte, quando in contemporanea con gli ultimi attacchi è scattata la rappresaglia di Teheran, che ha costretto gli israeliani alla corsa nei bunker: almeno 100 missili lanciati su Israele, uno dei quali ha ucciso una donna nei pressi di Haifa, e sirene di allarme anche ad Amman, in Giordania, costretta a chiudere lo spazio aereo. Simultaneamente, mentre un drone israeliano prendeva di mira «una figura di spicco a Teheran» e colpiva un deposito petrolifero nei pressi della capitale iraniana, l’esercito israeliano attaccava in Yemen, per cercare di eliminare Muhammad Al-Ghamari, capo di stato maggiore degli Houthi, gli islamisti filo-Teheran.
Colpito all’improvviso al cuore del suo potere militare e atomico, l’Iran aveva annunciato di voler reagire «con una risposta ancora più potente» all’ondata di attacchi israeliani che sabato hanno centrato altri 150 obiettivi in oltre 40 ore, portando a circa 80 i morti iraniani ieri, almeno 60 per le bombe su un edificio di 14 piani a Teheran, fra cui venti bambini. Da qui la minaccia del presidente iraniano Masoud Pezeshkian, che è anche la previsione dell’Esercito israeliano, pronto «a un’ulteriore escalation improvvisa» dopo il lancio dell’operazione «Rising Lion» contro il regime degli ayatollah.
Teheran ha promesso di lanciare altri 2mila missili contro Israele, a seguito degli oltre cento che venerdì notte e sabato mattina, nonostante lo sbarramento del sistema anti-missile Iron Dome, hanno provocato tre vittime israeliane. Il regime ha avvertito che saranno prese di mira anche le basi statunitensi in Medioriente, così come quelle britanniche e francesi «se contribuiranno a sventare gli attacchi». Ma non è tutto. La Repubblica islamica medita di giocare l’arma commerciale ed energetica, pronta a chiudere lo stretto di Hormuz, la più importante arteria petrolifera al mondo.
Eppure il regime di Teheran è indebolito e fiaccato come mai prima d’ora ed è questo il vero bilancio dei primi due giorni di conflitto fra Israele e l’Iran. La Difesa di Tel Aviv è ragionevolmente certa che «con il passare dei giorni, la capacità dell’Iran di lanciare missili contro Israele diminuirà gradualmente». Tra i vertici militari serpeggia soddisfazione. «La strada per l’Iran è spianata», ha annunciato il capo di Stato Maggiore israeliano Eyal Zamir. La capitale iraniana «non è più immune» agli attacchi israeliani – ha aggiunto il ministro della Difesa Israel Katz – E se l’Iran proseguirà con i raid missilistici contro i civili in Israele, Teheran «brucerà».
Non era difficile da comprendere, ma l’Esercito israeliano lo ha dichiarato ufficialmente: «Gaza è diventata un fronte secondario nella guerra». Oltre 70 jet israeliani hanno preso parte all’attacco nella notte fra venerdì e sabato a Teheran. «Decine di aerei stanno volando liberamente sopra la capitale iraniana, grazie all’azione che ha eliminato la minaccia dei sistemi di difesa aerea iraniani», hanno spiegato le Forze armate israeliane. L’Esercito continua a prendere di mira gli scienziati iraniani impegnati nel programma nucleare con cui Teheran punta all’atomica. Sono 9 in tutto finora quelli uccisi, tre in più del giorno precedente. Eliminati anche due vice comandanti di Stato maggiore, dopo l’azzeramento dei vertici delle Guardie della Rivoluzione e dell’Esercito. I siti nucleari iraniani di Isfahan e Natanz sono stati danneggiati in modo «grave», ha spiegato l’Idf, che continua a prendere di mira anche i sistema di difesa aerea. Colpita anche una struttura sotterranea a Khorramabad, ovest dell’Iran, che conteneva missili terra-terra e da crociera. Pure una raffineria nel giacimento di gas di South Pars è stata colpita da un drone, primo attacco all’industria energetica del Paese. Tanto che, spaventata, Teheran ha attivato difese antiaeree intorno al porto strategico di Bandar Abbas, a Sud, il più strategico.
«Tutto ciò porta l’Iran indietro sul nucleare di molti anni», ha spiegato Benjamin Netanyahu, prima della riunione con i vertici della Difesa ieri sera in un bunker sotterraneo. «Ora ci sono altre cose da fare che non posso dire», ha aggiunto sibillino il primo ministro israeliano, che ha avvertito: «Colpiremo qualsiasi sito e obiettivo del regime. Vedrete i jet dell’aviazione israeliana sorvolare i cieli di Teheran». Il premier ha sottolineato come l’operazione abbia avuto il «chiaro sostegno» di Donald Trump, pur se gli Stati Uniti non stanno partecipando all’offensiva e hanno dato sostegno a Israele solo nella fase difensiva dell’operazione, per schermare i missili iraniani. Un chiaro segnale alla guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, nascosto in un bunker fuori Teheran mentre la sua residenza nella capitale iraniana è stata sfiorata dagli attacchi. La massima carica religiosa e politica dell’Iran – un Paese dove Stato e Islam sono un’unica cosa – ha nominato ieri Majid Mousavi come nuovo comandante della Forza aerospaziale delle Guardie della rivoluzione (Nehsa ), dopo l’eliminazione di Amirali Hajizadeh nei raid. Ma il premier israeliano, che venerdì ha invitato gli iraniani a unirsi «contro il regime malvagio», continua a non celare l’intento di voler vedere la fine della teocrazia di Teheran.
Netanyahu ha spiegato che i leader iraniani stanno «facendo le valigie» in vista dei prossimi attacchi e che «questo regime senza scrupoli stava pianificando di fornire armi nucleari ai suoi alleati terroristi». Come a dire che il re – anzi l’ayatollah – è nudo ormai. Non è più tempo di tollerare che il regista dell’asse del male foraggi la galassia islamista contro Israele. Men che meno che possa possedere l’atomica.
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