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Dopo 46 anni la procura di Palermo riapre le indagini sull’omicidio di Michele Reina

Una nuova inchiesta su un altro delitto eccellente. La procura di Palermo ha riaperto le indagini sull’agguato costato la vita all’ex segretario provinciale della Dc Michele Reina, assassinato il 9 marzo del 1979 nel capoluogo siciliano. A 46 anni dalla sua morte, su delega della direzione distrettuale antimafia del capoluogo, la Dia sta acquisendo i video e le foto girate sul luogo dell’agguato. Tutto questo mentre, dopo avere riaperto l’inchiesta sull’omicidio di Piersanti Mattarella, la stessa Procura ha disposto accertamenti tecnici con le nuove tecnologie disponibili per estrarre il Dna su un’impronta ritrovata 45 anni fa nello sportello lato guidatore della Fiat 127 utilizzata dai killer per scappare dopo avere assassinato, il 6 gennaio del 1980, l’allora presidente della Regione siciliana, fratello dell’attuale Capo dello Stato.

Falcone e il “filo umico” – Era stato lo stesso Giovanni Falconein un verbale reso davanti alla commissione Antimafia il 22 giugno del 1990 (e desecratato nel luglio del 2021) – a parlare di “un filo unico che collega i delitti di Reina, Mattarella e La Torre”. Il magistrato ucciso a Capaci era convinto che nell’omicidio di Piersanti Mattarella fossero coinvolti i terroristi neri. E che l’eliminazione dell’allora presidente della Sicilia fosse collegato ad altri delitti eccellenti: quelli di Reina e La Torre. A questo proposito Falcone spiega nel verbale di credere “all’esistenza di un filo unico che si snoda dall’omicidio Reina fino a quello La Torre, in tutta questa serie di omicidi, chiamiamoli politico-mafiosi, anche se ovviamente ogni omicidio ha e non può non avere una sua specifica causale”.

L’agguato – Per l’omicidio di Reina sono già stati processati e condannati i membri della commissione di Cosa nostra come mandanti del delitto. Michele Reina fu eletto segretario provinciale della Dc nel 1976 e fu uno dei principali sostenitori dell’apertura del partito alla sinistra. La sera del 9 marzo del 1979 il politico stava salendo in auto con la moglie e una coppia di amici, quando alcuni sicari si avvicinarono e gli spararono tre colpi di calibro 38 che lo colpirono al collo, alla testa e al torace. Il commando fuggì via a bordo di una Fiat Ritmo rubata poche ore prima. Appena un’ora dopo, l’omicidio venne rivendicato con una telefonata anonima al centralino del Giornale di Sicilia da Prima linea, uno dei gruppi armati del terrorismo rosso. Seguirono altre rivendicazioni sempre di matrice terroristica.

Le condanne – A imprimere una svolta alle indagini furono le dichiarazioni fatte al giudice Falcone dal pentito Tommaso Buscetta. Il boss dei due mondi raccontò che a volere la morte del politico era stato il boss Totò Riina. Per il delitto sono stati condannati con sentenza definitiva i componenti della Cupola mafiosa Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Antonino Geraci. Gli esecutori materiali non sono, però, mai stati trovati. La morte di Reina fu solo il primo di una lunga serie di omicidi attribuiti a Cosa Nostra tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta a Palermo. Una lunga scia di sangue su cui non è stata fatta ancora piena luce. Al centro delle nuove indagini ci sarebbero anche gli eventuali collegamenti, già ipotizzati dallo stesso Falcone, su possibili convergenze di interessi tra Cosa Nostra e eversione nera unite dal tentativo di impedire il rinnovamento politico della Sicilia.

La pista nera – Nel luglio del 1988 la vedova di Reina, Marina Pipitone, dichiarava di riconoscere una “fortissima somiglianza” tra l’assassino di suo marito e la fotografia del terrorista nero Valerio Fioravanti (detto Giusva) pubblicata sui giornali. Dopo una serie di ricognizioni fotografiche e un confronto dal vivo la donna dirà, come si legge nelle carte processuali, di notare “una fortissima rassomiglianza tra il killer del marito e il Valerio Fioravanti, che riteneva di poter quantificare nella misura del 90%“. Fioravanti venne tuttavia prosciolto da ogni accusa perché nei giorni del delitto si trovava a Roma.

Le nuove indagini su Mattarella – Fioravanti e l’altro ex esponente dei Nar Gilberto Cavallini furono processati e assolti dall’accusa di essere il killer di Mattarella, pista battuta tra gli altri proprio da Falcone. Recentemente la procura di Palermo ha iscritto nel registro degli indagati il nome di Antonino Madonia, figlio di Francesco e appartenente alla famiglia mafiosa di Resuttana. Secondo i pm alla guida della 127, usata per allontanarsi da via Libertà, c’era Giuseppe Lucchese, anche lui elemento fidato dei Corleonesi. All’epoca i due avevano 28 e 22 anni. Per accertare eventuali responsabilità potrebbe essere fondamentale l’impronta ritrovata nello sportello dell’auto. Fu isolata già all’epoca, ma considerata inutilizzabile per potere svelare l’identità di chi l’aveva lasciata sulla carrozzeria. Il vetrino, però, potrebbe avere catturato delle tracce biologiche comparabili con il Dna dei due indagati.


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