Cultura

Dardust, La Nuvola, Roma – Live Report :: OndaRock


Soltanto due eventi programmati in Italia, ma in luoghi decisamente suggestivi, il primo all’HangarBicocca di Milano, il secondo all’interno dell’Auditorium de La Nuvola di Fuksas, Quartiere Eur, Roma. Sono le prove generali prima di affrontare un tour che porterà la musica di Dario Faini in alcune delle più importanti città europee: Barcellona, Madrid, Lisbona, Parigi, Bruxelles, Amburgo, Berlino, Praga, Utrecht e Londra. Il compositore marchigiano da anni partecipa da protagonista assoluto al processo di riscrittura delle coordinate del pop italiano, mentre in parallelo consolida con autorevolezza via via crescente il ruolo che si è ritagliato presso gli ambienti “alti” del modern classical
Urban Impressionism” è un progetto con un forte tema aggregante, racchiuso in maniera esauriente nelle due parole che definiscono il titolo: l’autore intende fissare, come un pittore sulla tela, in maniera rapida, con pochi e rapidi schizzi, le impressioni destate dall’osservazione di un paesaggio urbano. Passeggiando per le periferie delle grandi città, in particolare Parigi e New York, Dardust ha osservato in maniera attenta le architetture apparentemente incompiute, i palazzi di cemento brutalisti, i quartieri dormitorio spersonalizzanti, interpretandoli come metafore delle barriere emotive che ognuno di noi tende a costruirsi intorno, come forma di (in)volontaria protezione. 

 

Poi ha messo tutto nel suo disco più recente, tredici tracce strumentali (ma esiste anche una deluxe edition ben più corposa) incise senza ricorrere a guest prestigiosi (e avrebbe potuto coinvolgerne a decine…), mettendo al bando i tormentoni da classifica per puntare su arie malinconiche e struggenti, arricchite da numerosi elementi che vibrano sottopelle: violini, synth, morbidi beat. Un lavoro di sottrazione, asciutto, completato lasciando soltanto l’indispensabile.
Nella trasposizione live la narrazione musicale diviene anche visiva e sensoriale. Dardust è al pianoforte, accanto a lui un trio d’archi, due violini e un violoncello, suonati dai tre fratelli Elisa, Andrea e Alessio Cavalazzi, oltre al collaboratore di sempre Vanni Casagrande, che si muove fra synth e pad di batteria. 

Nel maxi-schermo posto alle spalle dei musicisti vengono proiettati visual curati da Franz Rosati e Videocittà, immagini e clip in costante evoluzione che conferiscono ancor più forza allo show, abbracciando il bianco, il nero e tutte le possibili tonalità di grigio. Grafiche dai contenuti psichedelici si alternano a sequenze di architetture brutaliste. Dario si intrattiene lungamente con il pubblico, raccontando la genesi del progetto, i suoi significati, in quali situazioni e con quali stati d’animo sono stati composti alcuni dei brani presentati. Il pubblico viene coinvolto dal Maestro a partecipare in maniera attiva alla performance, battendo le mani per sottolineare il tempo, oppure accendendo i cellulari per creare un’atmosfera ancor più emozionante.

 

Il suono del pianoforte si sposa in maniera naturale tanto ai suoni elettronici urban, manovrati dallo stesso Dardust, quanto alla classicità imposta dagli archi. Improvvise increspature trasformano repentinamente un’andatura neoclassica in un piccolo rave, un tocco di modernità cool che può essere letto come sfida alle convenzioni. Oceani di tranquillità sfociano in crescendo epici, supportati da strati liberatori di beat, fra il clubbing balearico e la techno berlinese. Quando lavora per il mainstream – confessa lui stesso fra una canzone e l’altra – Dario percepisce la pressione: ci sono obiettivi da raggiungere e non può permettersi di sbagliare. Quando è solo davanti al pianoforte, può invece concedersi il lusso di lasciar fuori dalla porta qualsiasi ansia da prestazione, evidenziando gli aspetti della propria scrittura che vanno oltre le aspettative e le necessità del pop.
Nell’elaborazione di queste tracce, i principali riferimenti dichiarati sono Debussy, Liszt, Steve Reich, i fari guida di una scrittura profondamente introspettiva, che intende indagare la solitudine, il senso di perdita, la fine di un amore. Non mancano omaggi sorprendenti, come nel sapore ispanico instillato fra le righe di “Mon Coeur, Béton Brut”, riprendendo il tema di “Asturias”, celebre composizione di Isaac Albéniz risalente alla fine del XIX secolo. L’estetica iconografica sottolinea l’intento di dar vita a una vera e propria installazione sonora, con il virtuosismo dell’autore che si pone al servizio di un progetto in grado di coniugare musica, visual, architettura e filosofia postmoderna.

 

European Tour 2025 :

18 marzo – Barcellona @ Sala Paral-Lel 62

21 marzo – Madrid @ San Pol

22 marzo – Lisbona @ Teatro Capitolio

29 marzo – Parigi @ L’Archipel

31 marzo – Bruxelles @ Bozar

1 aprile – Amburgo @ Nachtasyl

2 aprile – Berlino @ Colosseum

3 aprile – Praga @ Conservatoire Hall

6 aprile – Utrecht @ TivoliVredenburg – Cloud Nine 

8 aprile – Londra @ Hoxton Hall

(Foto di Danilo D’Auria)




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