Ambiente

Creare le condizioni per uno scatto dell’industria europea

La ripresa congiunturale della produzione manifatturiera italiana, registrata a gennaio, non cambia la sostanza della recessione industriale che il nostro Paese e l’Europa tutta stanno attraversando. Tutte le principali nazioni europee segnano livelli di attività industriale inferiori a quelli di inizio pandemia, con l’Italia attorno ai meno quattro punti percentuali come la Spagna, mentre Francia e Germania registrano valori di 6 e 12 punti percentuali inferiori rispetto all’inizio del 2020. La sequenza di crisi settoriali antiche e recenti (l’acciaio, l’automobile, gli elettrodomestici, la moda, e altro) si sono intrecciate finora con l’impasse decisionale e tecnologica dell’Unione Europea, e con il clima di incertezza e attesa che l’inflazione, le guerre e i dazi hanno instillato negli schemi di comportamento di consumatori e imprese. Gli effetti cumulativi hanno indebolito il tessuto industriale, creando disfunzioni nelle filiere, inducendo disinvestimenti o dilazioni nei piani di investimento, con effetti domino che si sono propagati nel sistema europeo.

La roadmap per una Unione dei risparmi e degli investimenti, che la Commissione sta varando, mira a migliorare la sinergia tra due delle principali leve di cui l’Unione dispone per lo sviluppo, il suo Mercato Interno con le imprese industriali che vi operano, da una parte, e la massa di risparmio privato europeo, dall’altra. La sinergia è stata finora dispiegata in modo imperfetto, con il risultato che la combinazione di rendimento e rischio degli asset finanziari emessi in Europa è in media meno attraente di quella che, almeno fino a ieri, si poteva ottenere per analoghi investimenti in asset statunitensi. Nel contempo, gli strumenti del mercato dei capitali che le imprese manifatturiere possono utilizzare rappresentano solo un terzo del risparmio al dettaglio nella UE, contro una quota doppia oltreoceano.

A fronte dell’appello di Mario Draghi al parlamento europeo ad uscire dall’immobilismo continentale (“Fate qualcosa”), creare un ambiente favorevole per uno scatto degli investimenti industriali è un passaggio-chiave. Che questo avvenga con un processo federativo, oppure con una estensione e approfondimento del metodo intergovernativo ad una serie di aspetti, il rafforzamento del risk-sharing tra i Paesi membri (o un loro sottoinsieme) e la semplificazione regolamentare e amministrativa sono comunque tasselli fondamentali per la creazione di un mercato dei capitali più orientato verso la crescita. Nel caso, ad esempio, gli investimenti necessari per PMI europee nell’intelligenza artificiale, al fine di realizzare davvero i benefici in termini di efficienza e competitività, e di muovere verso una trasformazione profonda dei processi produttivi, occorrono capitali finanziari di rischio che consentano di intraprendere le strategie più impegnative. Se da una parte infatti troviamo iniziative cosiddette “plug-and-play”, che supportano funzioni di routine e all’interno dell’organizzazione senza interazioni esterne dirette, all’opposto dello spettro delle strategie di intelligenza artificiale troviamo invece iniziative di mercato, che sono integrate nei flussi-chiave dell’azienda e coinvolgono interazioni dirette con clienti o stakeholder esterni. Queste ultime comportano rischi e costi significativamente più alti, dato l’impatto diretto sulle operazioni critiche. Senza un mercato dei capitali meno pietrificato, e senza un sentiment industriale che inverta la rotta degli ultimi due anni, molte piccole e medie imprese potrebbero non assumersi questi rischi e costi con la conseguenza che il potenziale di crescita della produttività non sarebbe pienamente liberato.


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