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Cosa fa Maccio Capatonda per recuperare ispirazione? Fa prendere le proprie decisioni a un altro preso a caso, tradisce la fidanzata, si spoglia di ogni bene… La nuova serie Amazon ‘Sconfort Zone’

E meno male che Maccio Capatonda è in crisi d’ispirazione. Sconfort zone, la serie “seria” scritta, diretta e interpretata da Marcello Macchia su Prime Video in queste ore, è un prezioso scrigno stracolmo di idee dalla realizzazione comicamente paurosa. Già, perché tra le trame delle risate classiche piovute dal mondo Maccio, l’ordito di Sconfort Zone è puro orrore psicologico. Binge watching a manetta (sei puntate da mezz’ora) e la notte si fanno gli incubi. Possiamo dirlo senza infingimenti: la serie di Capatonda non è solo un meccanismo perfetto di scrittura seriale e comica, ma sfruculia con intelligente e sadico puntiglio l’inconscio dello spettatore.

Sconfort Zone è una sorta di febbrile e sornione incubo alla Polanski, di doppiezza wellesiana sulla falsità di ciò che pensiamo di vedere e intendere, di crescendo schizoide alla Dario Argento (l’horror che il vero Maccio vorrebbe girare da anni sembra già qui). Maccio Capatonda è in crisi creativa e la scadenza per consegnare al produttore la sceneggiatura della sua nuova serie è dietro l’angolo. Anche con la storica fidanzata (Francesca Inaudi, bionda, grintosa, splendida, punto) c’è aria di crisetta (soprattutto nell’ambito della celebre battuta di Maccio con il braccio estendibile). Non resta che affidarsi ad un guru della psicanalisi, tal professor Braggadocio (Giorgio Montanini). Questi imporrà a Maccio una terapia d’urto: uscire radicalmente dalla proprio comfort zone compiendo gesti eclatanti.

Ecco allora che gli episodi di Sconfort Zone si enumerano prova per prova a cui si sottopone Maccio per recuperare (infine?) la sua ispirazione creativa. Ne elenchiamo una manciata: far prendere le proprie decisioni a un altro preso a caso; picchiare qualcuno; tradire la fidanzata; spogliarsi di ogni bene materiale, perfino lo smartphone. Insomma, la deflagrazione di senso è servita. E con Maccio, sembra un paradosso, si fa sul serio. Il protagonista entra in un vero e proprio incubo ad occhi aperti, dove il suo corpo invece di trasformarsi e travestirsi come nei suoi sketch classici online fa da cavia permeabile e gommosa come fosse un cartoon o la vittima, appunto, di un horror.

Ed il bello è che l’autore Maccio nella destrutturazione delle certezze logiche di psicologie e trame trova un’ulteriore struttura linguistica peculiare (sia nella regia che nel parlato); nell’apparente caos narrativo (cinque puntate come lungo frammentato flashback e una al tempo presente) trova il suo irreprensibile ordine realizzativo. Nella vita del protagonista, doppio speculare continuo e mimetico dell’autore, che nemmeno i grandi alla Moretti o Allen sapevano fare, le voragini che si aprono nelle zone di conforto abituali sono diverse ma una in particolare, quella sul sapere e volere far ridere, ossessione naturale, narcisisticamente devastante, che squarcia letteralmente Maccio, diventa motore principale della serie. Per questo dentro a Sconfort zone la citazione cinefila diventa sia meta cinema (Ritorno al futuro) che dotta e semplice ripetizione (Demolition Man, Fight club) proprio perché il confine tra ciò che realmente è Maccio Capatonda artista e il Capatonda showrunner è così sottile da far disperdere in aria pezzi di memoria e di passioni personali che si incastrano con deliranti derapage nella logica narrativa seriale.

Nell’incontro con Ilaria (Galassi) di Non è la Rai, che finisce con Maccio al bagno a masturbarsi con le foto di Ilaria ragazzina, la risata parte di pancia e finisce quasi nel dolore di una lacrima. Per non dire di quei nomi spigolosi (Grassadocio, Burnetti, Prippi) in cui ci si incaglia e incastra come intrappolati in uno scioglilingua o dell’esasperazione di situazioni ripetute e mai risolutive (il terzetto suggeritore dove appare Valerio Lundini o l’infermiere che cerca di fare battute comiche sbagliando i giochi di parole). Maccio incanala tutto questo florido irresistibile materiale sincopato nelle pieghe scorrevoli di un thriller spiazzante con i neuroni specchio spettatoriali a mille. Issandosi su un perenne primo piano alla Vita da Carlo, Maccio finge l’instabilità di una carriera professionale esorcizzando il terrore vero della vena creativa prosciugata dell’artista. Sulla parodia di Ballando con le stelle (Danza col vip) non possiamo che inchinarci, soprattutto nella sbroccata finale che travolge come uno tsunami sia il politicamente corretto che i deliri social e l’uso (qui sapiente e frugale) della parolaccia


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