Economia

Con l’incertezza che domina sui mercati, torna l’appeal sulla gestione attiva

La freddezza con cui i mercati finanziari hanno reagito all’accordo tra Stati Uniti e Cina, che minimizza i dazi reciproci dopo le forti tensioni delle scorse settimane, è indicativa della diffidenza diffusa tra gli investitori. In tanti temono nuovi cambi di rotta da parte dell’amministrazione Trump e anche la prudenza della Cina, che si è impegnata per soli sei mesi sulle intese raggiunte, non fa dormire sonni tranquilli. Ne abbiamo parlato con Matteo Villani, Head of Institutional Clients Italy di Vontobel, raggiunto a margine di un evento organizzato dalla società a Zurigo.

Matteo Villani, Head of Institutional Clients Italy di Vontobel

Matteo Villani, Head of Institutional Clients Italy di Vontobel 

Rispetto al passato, ai mercati non sembrano più bastare le notizie sulla distensione commerciale. Come giudica questa reazione?

“Inizierei facendo un passo indietro. Per lungo tempo, il rischio più grande è stato restare fuori dal mercato, dato che – nonostante i numerosi fattori di tensione – negli ultimi anni abbiamo visto i listini proiettarsi sempre verso nuovi massimi. Tuttavia, nell’ultimo anno questo non è stato più sufficiente per generare profitto. Occorre stare sul mercato, ma scansando i rischi principali”.

A cosa fa riferimento in particolare?

“Nell’ultimo anno abbiamo visto che l’estrema concentrazione del mercato americano su pochi titoli – in primis le Big Tech – espone a rischi di pesanti correzioni quando cambia l’umore degli investitori verso queste aziende. Dunque non basta limitarsi a seguire i benchmark, ma è fondamentale disporre di competenze di analisi per analizzare le singole situazioni. Questo vale anche nelle fasi di correzione. Pensiamo a quanto accaduto a inizio aprile: dopo l’annuncio di dazi generalizzati da parte del presidente Usa Donald Trump vi è stata una corsa a vendere in maniera generalizzata. Chi ha resistito al pessimismo generale, rinnovando la propria fiducia verso le aziende con buoni fondamentali e multipli sostenibili, è stato ripagato nelle settimane successive. Ad esempio, il nostro fondo global equity ha un’esposizione al dollaro che è la metà rispetto a quella dell’indice Msci World, in quanto vediamo ancora rischi di svalutazione per il biglietto verde. Quanto ai settori, poi, siamo esposti più verso i servizi che in direzione dei prodotti, in quanto i primi sono impattati in misura minore, e a volte nulla, dai dazi”.

Quindi quest’ultima è una scelta contingente e non “strutturale”?

“Esatto. Il nostro focus è su aziende caratterizzate da fondamentali solidi, e quindi resilienti nelle fasi negative di mercato, una crescita sostenibile nel tempo e una buona capacità di determinazione dei prezzi. Il già citato fondo sull’equity globale ha come principali esposizioni Microsoft e Coca-Cola”.

Due aziende molto diverse tra loro…

“Esatto e questo conferma il fatto che – di fondo – siamo agnostici verso i settori nella prospettiva di lungo termine, anche se facciamo continui aggiustamenti di portafoglio nel breve”.

Questo approccio vale anche per la componente di reddito fisso?

“Sì, per noi la gestione attiva è una costante per creare valore aggiunto per i clienti rispetto al mercato”.

Chiudiamo con una domanda sulla struttura dell’offerta. Quali canali utilizzate per crescere in Italia?

“Abbiamo accordi con una serie di realtà della distribuzione, tra cui Fideuram, Banca Generali, UniCredit e Fineco. Ci rivolgiamo, poi, alla clientela intermediary, cioè a chi gestisce fondi di fondi come gestioni patrimoniali e unit linked. A loro forniamo i nostri fondi come classi istituzionali. Infine ci sono gli istituzionali puri come casse di previdenza, fondi pensione e fondazioni bancarie, realtà alle quali proponiamo fondi e mandati di gestione”.


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