Come ricreare l’emozione di «sentirsi a casa» quando non si è a casa
La possibilità di far ritorno al nido primordiale è quindi un presupposto di sicurezza, senso di appartenenza, «ricarica» in senso affettivo e mentale. Ma se non è possibile tornare fisicamente, come si fa a recuperare quella zona di comfort psicologico, come ci si può «sentire a casa» anche quando la casa non c’è più?
«Il cervello ci aiuta », spiega l’antropologa. «Mette in atto – in maniera consapevole e inconsapevole – strategie per quietare la paura che la perdita del nido crea in noi. È veramente una macchina perfetta, fatta apposta per curare da sola anche sentimenti di questo genere».
Simbolo ancestrale che ci accomuna tutti a livello umano, il nido ci unisce pure a una parte degli animali: quelli che si producono la tana. «Anche noi uomini, a pensarci bene, abbiamo bisogno di avere una tana. E quel bisogno di “sentirsi a casa” non è altro che l’idea, profonda, del rifugio».
Ricreare il «rifugio»
L’atmosfera «perduta» si può ricreare in modi diversi, come spiega l’antropologa: «Lontano da casa, una delle cose più semplici che andiamo a cercare sono determinati sapori». Non per nulla, secondo la ricerca condotta da YouGov per Nestlé, il 53% degli italiani riconosce un legame profondo con il nido attraverso il cibo. Per 6 persone su 10, inoltre, il sapore dell’infanzia è anche una lezione di vita: è a tavola che si trasmettono i valori più profondi: un italiano su 4 custodisce nel piatto di famiglia il sapore delle proprie radici.
«Quando abbiamo bisogno di ritrovare la sensazione di casa, il cibo diventa quella cosa confortevole che affievolisce l’ansia. Lo dimostrano gli italiani che si trasferiscono all’estero – e in generale, tutti i popoli che migrano in altri Paesi – quando tendono a cercare e a riprodurre gli alimenti della propria cucina d’origine. Tutte le volte che ci si allontana dal proprio nido, dalle radici, il modo più semplice per ritrovarle è mangiare come si mangiava in famiglia, attraverso la cucina della mamma o della nonna, cercando quei medesimi alimenti, quegli stessi ingredienti (vedi il caso della pasta per noi italiani)», sottolinea la studiosa, che aggiunge: «Quando ricreiamo quel piatto e lo mangiamo, si genera in noi non soltanto un nutrimento fisico, ma soprattutto emozionale: si acquieta quel senso di spaesamento che proviamo tutte le volte che siamo fuori dal nostro contesto, lontani dal nostro ambiente».
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