L’artista Rebor organizza il funerale del suo alter ego: «Oggi tutto sembra eterno, replicabile, immortalizzato. La fine è la lezione più alta: senza accettarla, non possiamo evolvere»
Rebor, il 30 ottobre a Torino ha celebrato qualcosa di unico: un vero e proprio funerale per Mr. Pink, il suo alter ego nato quasi per caso nove anni fa. Perché questo gesto così teatrale?
«È stato un gesto necessario. Mr. Pink non era semplicemente un personaggio: era il simbolo di un periodo della mia ricerca, un ciclo in rosa che mi ha accompagnato per quasi un decennio. Ho deciso di celebrare la sua fine con un funerale perché oggi, più che mai, nella nostra epoca digitale, tendiamo a ignorare la fine delle cose. Tutto sembra eterno, replicabile, immortalizzato. Ma la realtà ci insegna che nulla è davvero permanente. Saper riconoscere la fine, celebrarla, abbracciare l’impermanenza: è questo il vero atto di consapevolezza».
E come si traduce tutto questo nell’arte?
«Il funerale è stato una performance collettiva, un rituale in cui ogni visitatore poteva lasciare un pensiero o un fiore sulla bara rosa. Non c’era il corpo: c’era il simbolo, l’idea di un ciclo che si chiude. È un invito a confrontarsi con la propria esperienza del distacco, a osservare che ciò che finisce lascia spazio a qualcosa di nuovo. Nella vita e nell’arte, tutto ciò che esiste è effimero. Il gesto teatrale è un modo per renderci partecipi, per trasformare il dolore e il lutto in consapevolezza».
Mr. Pink nasce da un errore mediatico, come è riuscito a trasformare quell’errore in un’opportunità creativa?
«Nel 2017, i media locali mi soprannominarono “Mr. Pink” per le mie installazioni. Invece di ignorarlo, ho scelto di appropriarmi di questo errore, trasformandolo in un’occasione per esplorare l’attenzione, la percezione e il colore rosa, simbolo della fragilità e della forza al contempo. In questo senso, anche la fine di Mr. Pink diventa creativa: non si tratta di distruzione, ma di evoluzione. L’errore diventa un seme, la fine un inizio».
Parla molto di attenzione e consapevolezza. Come si collega tutto questo all’uso dell’intelligenza artificiale oggi?
«Viviamo in un mondo dove i pensieri viaggiano più veloci della luce, dove tutto sembra replicabile all’infinito. L’IA ci promette l’illusione di immortalità, ma ciò che otteniamo sono repliche, non essenze. La fine ci riporta al presente, ci ricorda che ciò che conta è l’esperienza autentica. In questo contesto, occorre attenzione: osservare se stessi dall’esterno, riconoscere la differenza tra ignoranza e insipienza, saper chiedere e cercare le risposte. La fine è la lezione più alta: senza accettarla, non possiamo evolvere».
Quindi il funerale di Mr. Pink non è stato solo un addio, ma anche un insegnamento?
«Esattamente. Celebrare la fine ci insegna a gestire il distacco dalle cose, dalle relazioni, dalle esperienze. Non è rassegnazione, ma comprensione profonda. La fine non è da temere: è ciò che permette al nuovo di nascere. Il rosa resta, ma Mr. Pink muore. E da questa morte nasce la libertà di continuare la ricerca artistica senza attaccamento, senza illusione di eternità, con uno sguardo più acuto sull’impermanenza di ogni cosa».
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