Cultura

Swans – Birthing | Indie For Bunnies

Seconda prova della nuova dimensione ridotta degli Swans dopo l’ottimo “The Beggar”, “Birthing” è un’odissea ossessiva dentro l’inferno catartico della creazione, dentro il dualismo infinito delle anime di Gira, creatore e distruttore, profeta e madre di tutte le genesi delle sue riflessioni, dove l’insistenza cocciuta e temeraria della ricerca del senso ineludibile della nostra esistenza si dipana qui più del solito in musica, non più canzoni, che possono raggiungere anche la mezzora, dove il delirio decantatore si manifesta nella sua paradossale maestosa interezza e adeguata completezza, dove ancora una volta la musica diventa l’elemento di connessione verso qualcos’altro, la musa ispirata ed ispiratrice di un’ascesi pluridecennale.

Credit: Bandcamp

Il trittico iniziale “The Healers”, “I am a tower”, “Birthing”, sviscera già ampiamente lo spirito perlustratore dell’album condensando tutte le sfacettature di questo ennesimo eterno periodo Swans: la decantazione profetica dello sciamano Gira, in questo album molto più dilatata, sontuosamente introdotta e accompagnata, estremamente efficace nella resa, grazie forse ad un miglioramento ulteriore dell’interpretazione canora, con le liriche che strisciano come alba quieta prima della tempesta, con scarti tellurici strumentali di infinita bellezza che terminano di nuovo nella conclusione profetica ripresa fino alla catarsi finale.

Probabilmente meno vario musicalmente dei precedenti, “Birthing” rimane su un livello di solidità ripetitiva, dove si notano più che mai riferimenti pinkfloydiani anche nell’approccio alle canzoni molto periodo “Ummagumma”, nelle fasi di rilascio quasi psichedelico alla “Echoes” (“The healers”) forse mai così presenti nel repertorio della band, mentre altrove si ritrovano affettuosi spunti di Bowie periodo berlinese, nella bellissima seconda parte di “I am a tower”, omaggio a “Heroes”, piuttosto che elegie liriche post rock alla GSY!BE come nella title track.

La parte forse più interessante è la prima metà di “The Merge”, convulso free jazz davisiano , periodo fine settanta, una gustosissima jam di un nervosismo strisciante, preludio al successivo ennesimo intervento profetico di Gira, che si ripete nella finale “(Rope) Away” che inizia ancora una volta con lunghissime vette inesplose in stile GSY!BE per terminare con le ultime strofe del leader.

Dovrebbe essere l’ultimo album con una band, il condizionale è d’obbligo, visto che non c’è segnale di cedimento, l’impeto e la sostanza rimangono vivi e pressanti, come al solito la musica degli Swans inchioda e assorbe tutto il resto attorno, non lascia indifferenti, si innesta nelle profondità e salpa in direzione delle tempeste , frena e diventa ilare (ci sono diverse voci di bimbi in più punti dell’album), maneggia uno space rock totalizzante ad alto livello, con l’assetto produttivo sempre di prim’ordine, per una abbraccio totale dell’universo di Gira.

Certo, non è e non sarà l’album che farà cambiare idea ai detrattori o innamorare qualcuno, anzi, lo sciamanesimo di Gira è ai massimi livelli, ma siamo alle solite, inutile ribadire dopo decenni che questi sono gli Swans, chi li ama per favore li segua e sarà per sempre e dannatamente ricompensato.


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