Cultura

Matt Berninger – Get Sunk

Forse non dovremmo porci poi così tante domande sul senso di un secondo album solista del leader di una delle più influenti indie band dell’ultimo trentennio, non dovremmo più fremere in attesa della risoluzione alle crisi di ispirazione così a lungo sottolineate en plain air da Berninger nelle interviste recenti, quando il cantante dei National si lasciava andare a ripetute amare esternazioni contro la sua incapacità di continuare a scrivere i testi della canzoni, a fronte peraltro di un’immutata dose cospicua di uscite della band.

Credit : Chantal Anderson

E’ che è malposta la domanda, non si tratta neanche di ribadire che il meglio è già stato fatto, che gli ultimi album dopo diciamo “Trouble will find me”?, hanno perso l’urgenza comunicativa e la passione originaria per la quale si rimaneva emotivamente provati dopo l’ascolto, quando ci si rendeva conto di maneggiare canzoni superlative, piccoli romanzi americani che esplodono nella loro circolarità, che si insinuano all’inizio portandoti via e compiacendo il tuo senso romantico, perchè cantando quelle canzoni tutto sembra possa essere perfetto, quando invece album come “First Two Pages of Frankenstein” scivolano via, come vento fra i capelli senza che ce ne accorgiamo di quanto piacevole sia.

Non si tratta neanche di sottolineare che questo “Get Sunk” sia un ritorno all’ovile che si distanzia purtroppo dal buonissimo precedente lavoro solista di Berninger, quel “Serpentine Prison” che faceva pervenire un’idea di cantautorato che pur non discostandosi da quel mix di sofisticato e torbido che è nell’humus della sua narrazione, cercava di prendere altre strade musicalmente, virando verso un territorio ai confini della tradizione americana, con accenni blues molto interessanti.

Si tratta solo che tutto ciò che ha a che fare con queste canzoni, col suo autore, con la sua band cambia senso e diventa necessario come un amico a cui chiedere la sola presenza, quando ti succede per grazia ricevuta di passare dentro il turbine impazzito del sentimento, quando i tuoi pensieri sono bloccati e non c’è niente di più importante di uno sguardo, di un cenno di si del desiderio dell’altro; allora anche la musica dentro questo “Get Sunk” diventa un porto sicuro, un maledetto porto sicuro , con i suoi brani che iniziano lievi e si fanno via via più intensi, con una cura del dettaglio magistrale, con la voce di Berninger che non perde un filo di malinconia e di spessore e che rimane l’elemento ancora più trainante, immarcescibile di fronte a vizi e depressioni, con quei chorus che sembrano fatti apposta per farci compagnia nella nostra solitudine da terrazza estiva, a rimuginare su quanto possiamo fare, sull’impotenza delle nostre intenzioni, su un amore che forse scappa e forse è troppo diverso da noi, e pensare ancora a quel mascalzone di Berninger che ci ha fregato un’altra volta, dall’alto dei suoi mocassini, così fastidiosamente distante, cosi maledettamente vicino.


Source link

articoli Correlati

Back to top button
Translate »