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Gabry Ponte: «Non si supera mai la morte di un genitore, ma la nascita di mia figlia ha chiuso un cerchio. Gli Eiffel 65? Mai ritrovata un’alchimia così»

«Mi sono guardato indietro e ho detto: è partito tutto da quando avevo 11 anni e mixavo nella mia cameretta e mai avrei immaginato di essere dove sono oggi. Ho pensato fosse una bella storia da raccontare». E lo è, quando ti chiami Gabry Ponte e sei uno dei dj più conosciuti al mondo e, attraverso le tue canzoni, hai contribuito a definire musicalmente gli anni ‘90, influenzando tutta una generazione di tuoi colleghi che sarebbe arrivata subito dopo. Come racconta nella autobiografia – Dance & Love – La mia musica, la mia vita, uscita il 3 giugno per Rizzoli – la sua vita è stata una sorta di effetto domino: la prima tessera è caduta nel 1984 quando, durante una vacanza in Sardegna, un suo amico gli mostra una piccola consolle con giradischi e mixer, poi sono arrivate a catena tutte le altre, dagli Eiffel 65 al tanto sognato lavoro per Radio Deejay, fino ai concerti nei palazzetti strapieni.

Gabry Ponte «Non si supera mai la morte di un genitore ma la nascita di mia figlia ha chiuso un cerchio. Gli Eiffel 65...

Pier Costantini

Ecco. Come siamo arrivati fin qui?
«La risposta a questa domanda sta proprio nell’idea che mi ha portato a scrivere questo libro. Ho parlato con mia sorella, con i miei amici più stretti, e sono riuscito a mettere in fila tutti gli eventi più significativi della mia vita. A volte, i ricordi si confondono, si mischiano, adesso è tutto molto più chiaro».

Tra i primi ricordi che cita nel libro, c’è ovviamente la morte improvvisa di sua madre per un incidente quando era solo un bambino.
«Fa parte di quel tipo di eventi che cambia radicalmente il tuo modo di essere e ti segna in maniera indelebile. Quando sei piccolo, non capisci da cosa dipendano certi tuoi comportamenti, come l’essere aggressivo o introverso. Poi cresci e inizi a comprendere che tutto parte da lì e che non potrai mai superarlo, ma impari a conviverci».

Suo padre rimase vedovo con due figli. Gli ha mai rimproverato qualcosa di come abbia gestito con voi quel periodo così doloroso?
«Nulla. Ha avuto un gran cuore e non ci ha fatto mancare nulla: dall’affetto a tutti gli sforzi quotidiani che richiede crescere due bambini, con un lavoro e un mutuo da pagare. Molte volte, mi capita di pensare a come avrei agito io se fosse capitato a me e non c’è una sola volta in cui non abbia detto: “non ce la farei!”. Quindi, non posso che essere grato a lui e a ciò che ha fatto per noi».

Da qualche anno è padre anche lei, come l’ha cambiata sua figlia?
«Per me, è stata la chiusura di un cerchio: è nata lei e sono riuscito a mitigare il mio dolore, a compensare tutte le lacune che avevo a livello affettivo. Diventare genitore mi ha reso felicissimo e mi ha dato un’altra dimensione del tempo: ho capito che, alla fine, puoi fare tutto e che il segreto è imparare a organizzarsi al meglio».

Ma la sua dimensione di vita continua a essere frenetica. A livello personale, quanto le ha tolto fare il dj?
«Tantissimo. Per anni, io non ho ricordo di un weekend libero, trascorso con amici o a fare viaggi. Tutto era a servizio della consolle e del mio lavoro: la mia vita sociale era praticamente pari allo zero».

Se ne è mai pentito?
«No. Per me, non era un sacrificio: era esattamente ciò che volevo fare. Poi fare questa vita mi ha regalato tante relazioni che, da lavorative, si sono trasformate in personali. Quindi ho una seconda famiglia che è quella che da anni mi fa compagnia quando giro il mondo per fare il dj».

Si è mai chiesto fino a quando vorrà fare questo lavoro?
«Sinceramente no. Guardo ai dj di 5, 10 o più anni di me e vedo che loro continuano a farlo perché riescono ancora a fare quello che gli piace, con dignità. Credo che questo sia un po’ la chiave di tutto. Poi mi capita di chiedermi: ti senti ancora a tuo agio in consolle? Fino a quando risponderò sì, non avrò motivi di smettere».


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