Ty Segall – Possession: Il passo lento del prolifico autore americano :: Le Recensioni di OndaRock
Ty Segall continua a destreggiarsi tra le convenzioni e le consuetudini della musica rock con il sempre pirotecnico e trascinate atteggiamento da self-made-musician, coordinando abilmente linguaggi e modalità artistiche non sempre attigue.
Il sedicesimo disco del musicista californiano è l’ennesimo cambio di scena ma anche uno dei più capitoli più classici. La novità più rilevante è che il ruolo centrale è affidato non solo alla chitarra ma anche al pianoforte, ultima conquista artistica di Segall. Con Neil Young e Brian Wilson a far da guida spirituale, il musicista americano si avventura in una escursione sonora che mette sullo stesso piano la tradizione West Coast, il glam rock e i Beatles, con una serie di composizioni di ottima fattura e arrangiamenti ricchi di dettagli e ispirazione.
“Possession” giunge a pochi mesi di distanza dalla dichiarazione di Segall di voler rallentare la prolifica produzione discografica per non sminuirne il valore intrinseco, ed è senz’altro l’obiettivo di queste nuove dieci tracce, quello di condensare una carriera da sempre sotto l’occhio vigile della stampa e del pubblico, ma mai del tutto centrale nella scena rock contemporanea.
Per i testi, Ty Segall torna a collaborare con il regista e scrittore Matt Yoka, le composizioni sono più ambiziose ma anche più esplicite e dirette, a partire dalla splendida “Shoplifter”: un tripudio di accordi acustici, incastri vocali perfetti, geniali orchestrazioni di archi e fiati (per merito del sagace Mikal Cronin), dissonanze psichedeliche tipicamente beatlesiane e cambi di registro armonico che incantano a ogni ascolto.
Che “Possession” sia una celebrazione del pop rock anni 60 e 70 è palese. Prima di riaffermare la propria attitudine power-pop californiana con l’incontenibile “Another California Song”, Segall flirta con una moltitudine di variazioni sul tema. C’è la semplicità/non semplicità dei Kinks nella delicatamente ruvida “Shining”, c’è il genio di John Lennon nella visionaria e psichedelica “Hotel”, ci sono i Grateful Dead nella ballata uptempo alla Ziggy/Bowie che funge anche da title track, ed è quasi perfetta la discesa negli inferi glam di Marc Bolan nell’ambigua “Fantastic Tomb”, che non disdegna inflessioni blues.
Il passo decisamente rock-blues di “The Big Day”(con tanto d’introduzione chitarristica alla “All The Young Dudes”), il groove soul di “Buidings” e il meltin pot creativo di “Skirts Of Heaven” (Kinks, Love e Chicago nella stessa canzone) confermano che Ty Segall non ha timore alcuno di portare alla luce le proprie fonti d’ispirazione, in molti casi emulando perfino le tecniche di registrazioni degli anni 70, mettendo così a punto uno degli album più riusciti della propria carriera.
15/06/2025