La «visione cosmopolita» del “Tamunga”, il boss dei narcos calabresi
Il libro di Antonio Talia sul boss dei narcos calabresi Rocco Morabito detto “Tamunga”, da Africo ai vertici del narcotraffico internazionale
Dal picco Scapparrone, uno dei più alti e impenetrabili dell’Aspromonte, dove si sperimentava l’uso di sofisticati criptofonini, ai vertici del narcotraffico internazionale. La «visione cosmopolita» di Rocco Morabito, detto il “Tamunga”, esponente di spicco dell’omonima famiglia mafiosa di Africo, tra le più potenti della ‘ndrangheta, per anni uno dei più grandi broker mondiali della droga, è al centro di “Duello”. Una biografia criminale scritta da Antonio Talia, giornalista d’inchiesta originario della Locride, che racconta l’epica cattura in Brasile del padrino della cocaina dopo 25 anni di latitanza e una fuga dal carcere di Montevideo. Un affascinante reportage che spiega anche come nell’arco di un trentennio sia cambiato il traffico di cocaina. Un mercato che fattura oltre 30 miliardi di euro all’anno, secondo il rapporto 2024 di Europol, e sul quale Morabito ha inciso perché in grado di influenzare i prezzi della cocaina a livello europeo.
LA MODERNITÀ DI TAMUNGA
Edito da Fuori Scena, in circa 300 pagine che si leggono tutte d’un fiato il libro di Talia spiega la modernità di un boss fatta di criptofonini e accordi criminali con i cartelli di mezzo mondo. Soprannominato “’u Tamunga” per la sua passione per un vecchio modello militare di fuoristrada, la sua dimensione cosmopolita, «virtualmente senza confini», lo proietta negli snodi della globalizzazione. Il ruolo chiave di Morabito nella holding del narcotraffico è messo bene in evidenza da Talia in uno dei passaggi più significativi del libro.
Quello in cui spiega che la ‘ndrangheta, «creatura degli abissi», trasporta la cocaina, con i suoi tentacoli sottomarini, «dall’America Latina attraverso le acque dell’Atlantico fino ai porti europei». Quella piovra poi «indossa dita umane e con un clic distribuisce la contropartita in denaro sui tavoli più rispettabili. Tuttavia, per trasformarsi in ville sul mar Jonio, piscine e campi da golf alle pendici dell’Aspromonte, la coca necessita di una condizione che almeno in alcuni Paesi comincia a scarseggiare: il segreto bancario».
CRIPTOFONINI
Il riferimento è ai sistemi di criptazione in grado di spostare cifre ingenti in tutto il mondo attraverso canali preferenziali che spesso sfruttano i paradisi fiscali. Ma per proteggere le loro comunicazioni dalle intercettazioni, Morabito e i suoi affiliati hanno utilizzato a lungo i dispositivi Encrochat, Sky Ecc e AN0M. Secondo le indagini delle Dda di Reggio Calabria, di Locri e di altre Procure italiane – incrociate con le inchieste di una decina di agenzie per il contrasto al crimine organizzato disseminate tra Europa e America – il narcotrafficante internazionale ha usato questi dispositivi con parenti e alleati di Africo Nuovo e dintorni, prima della seconda e definitiva cattura, avvenuta nel maggio del 2021 a João Pessoa, in Brasile.
Dopo la chiusura di Encrochat, Morabito si affidò ad Anom, sistema più sofisticato, anche per comunicare in maniera criptica con la figlia. Una “debolezza” sentimentale che consentì agli inquirenti di tendergli una trappola informatica.
CARTELLI
In circa 25 anni di latitanza, Morabito ha stretto accordi con la Mocro Maffia, l’organizzazione criminale attiva nei Paesi Bassi, con il Cartello Kinahan, i trafficanti di droga delle isole britanniche, con gruppi albanesi e bosniaci diventati sempre più potenti nel controllo della logistica, ma anche e soprattutto con i narcos paramilitari del Primeiro Comando da Capital, la più potente organizzazione criminale brasiliana.
LA LATITANZA DI MORABITO, DETTO TAMUNGA
Nella zona tra Argentina, Brasile e Paraguay, nota come Tripla Frontera, «dove le leggi e i confini sbiadiscono fino a perdere significato», Morabito e i suoi uomini hanno intrattenuto rapporti con trafficanti di valuta e riciclatori di origine libanese legati a Hezbollah. Si sono serviti dei money transfer controllati dalla criminalità cinese per spostare some ingenti. In Pakistan le trattative erano con i signori della guerra per assicurare agli alleati latinoamericani container ricolmi di fucili kalashnikov.
IL SANGUE
Il libro ripercorre parallelamente vicende di ‘ndrangheta maturate nella Locride e ai due lati dello Stretto che vedono Rocco Morabito apparentemente estraneo. Dalla misteriosa morte del lontano cugino Domenico, detto Micu ’u Pascià, il figlio di Giuseppe Morabito, ‘u Tiradrittu, uno dei boss più sanguinari e potenti di sempre, a un’oscura sequela di attentati, incendi e violenze. La faida di Motticella si inserisce nella cosiddetta Seconda guerra di ’ndrangheta, un conflitto su larga scala che tra il 1985 e il 1991 ha coinvolto tutte le famiglie della provincia di Reggio Calabria e si è conclusa, dopo oltre 700 morti ammazzati, con una pax che rafforzò ulteriormente la ‘ndrangheta, disciplinandola e facendola divenire più potente di Cosa Nostra. Molte di quelle vicende, come mette bene in evidenza Talia, avrebbero attirato l’attenzione dei media nazionali se non si fossero svolte in Calabria, secondo un pregiudizio forse non del tutto superato.
ZONA GRIGIA
Una cosca, quella dei Morabito, che si avvale spesso di una zona grigia di insospettabili dalla posizione sociale rispettata. Ne fanno parte professionisti come il dottor Giuseppe Pansera, genero del Tiradritto, che all’ospedale di Melito Porto Salvo, brutto edificio di colore marrone, si vede poco. Perché a un certo punto diventa vertice operativo del clan, l’unico della famiglia a intrattenere rapporti di prima mano con il suocero latitante e probabilmente anche con il lontano cugino Tamunga, per molti anni re della cocaina a Milano e poi svanito in Sudamerica per gestire dall’altra parte del mondo gli approvvigionamenti.
Ma il «precursore» della «visione» del Tiradrittu, è il parroco di Africo, don Giuseppe Stilo, la cui ombra si staglia potente in 50 anni di affari, indicato come il precursore della presa dell’università di Messina da parte del clan. Le cronache raccontano che il Tamunga, a 22 anni, aveva una pistola appoggiata sulla cattedra quando minacciò un docente dell’università di Messina, dove si trovava ufficialmente perché studente di Economia ma in realtà seguiva i traffici della famiglia. Il parroco di Africo finì al centro perfino di un libro fondamentale come “Una cronaca italiana di governanti e governati, di mafia, di potere e di lotta “, pubblicato da Corrado Stajano nel 1979.
FORTALEZA
L’ascesa del Tamunga, però, parte dalla fuga dopo la condanna a 30 anni di carcere per i fatti contestatigli nel processo scaturito dall’operazione Fortaleza, quella che portò al primo maxi sequestro di cocaina riconducibile alla ‘ndrangheta. Tra il 2001 e il 2017, Morabito prosegue la sua latitanza in Uruguay, dividendosi tra Montevideo e Punta del Este. Si sposta sotto falso nome, con passaporto brasiliano.
Dopo 23 anni di latitanza, viene arrestato a Montevideo nel 2017 grazie ad un’azione congiunta delle polizie uruguaiana, argentina e brasiliana. Lo tradì una leggerezza: aver iscritto la figlia a scuola utilizzando il suo vero nome. In seguito a un mandato d’arresto internazionale spiccato dalla Procura di Reggio Calabria, il tribunale d’appello dell’Uruguay autorizza l’estradizione in Italia ma lui riesce ad evadere dalla terrazza del carcere “Central” di Montevideo. Fuggito in Brasile, dove rimane due anni, la latitanza termina il 24 maggio 2021 quando viene arrestato a Joao Pessoa grazie ad un’azione della polizia brasiliana e delle forze dell’ordine italiane.
LA SQUADRA
C’è un racconto nel racconto. Morabito viene arrestato da una squadra guidata da calabresi come lui, Maurizia Quattrone (poliziotta) e Giovanni Bombardieri (magistrato), e da Massimiliano D’Angelantonio (ufficiale dei carabinieri) che per molti anni è stato in servizio in Calabria. Una storia che merita di essere conosciuta perché è anche la storia di calabresi che lottano contro la ‘ndrangheta. «’U Tamunga sbarca circondato da agenti.
Dopo le procedure di identificazione, in una sala riservata dell’aeroporto, Rocco Morabito si gira verso Maurizia Quattrone e le tende la mano destra, nonostante le manette. Quattrone la stringe. La vicequestore capo Maurizia Quattrone non deve e non può legittimare uno ’ndranghetista con il riconoscimento dei gradi. Per lei la stretta di mano rappresenta un gesto di umanità. Per i cittadini della Repubblica italiana – forse – quella stretta di mano è solo la dimostrazione che le regole dello Stato di diritto possono vincere ancora. Nonostante tutto». “Duello” è una sorta di caso studio, che suggerisce come in futuro la lotta contro gruppi criminali dipenderà in larga misura dall’adattamento tecnologico e dalla condivisione di informazioni a livello globale. Ma racconta soprattutto di uomini e di donne che lottano per costruire una società diversa.
TAMUNGA SECONDO SOLO A MESSINA DENARO
Morabito era secondo soltanto a Messina Denaro nella lista dei ricercati italiani più pericolosi quando venne arrestato. I due arresti, scattati a distanza di due anni, sono tra le più importanti operazioni antimafia degli ultimi decenni. Ma se l’arresto dell’ultimo degli stragisti ha calamitato per mesi e mesi l’attenzione di un’opinione pubblica sempre più disinteressata ai fatti di mafia, quello del Tamunga è durato lo spazio di qualche giorno sui media. Una divergenza nella percezione del pubblico su cui si gioca tutta la differenza tra Cosa nostra e ’Ndrangheta. Ovvero «tra un brand criminale che mantiene fama incontrastata a dispetto della lunga fase di decadenza e un’organizzazione che ha scelto la strategia dell’inabissamento, e diventa quindi molto più difficile da raccontare».
Messina Denaro, quando è stato finalmente pizzicato, stava riciclando capitali sporchi tra impianti eolici e supermercati in provincia di Agrigento. Morabito, invece, «non ha mai smesso di movimentare tonnellate di cocaina da un capo all’altro dell’Oceano Atlantico e ha preparato un piano per scambiare armi contro droga che coinvolge due dei cartelli più pericolosi del mondo». La maxi-inchiesta europea sui criptofonini svela la caratura criminale dei suoi affari.
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