“Questa frontiera ha ucciso”, a Ventimiglia la preghiera di prete e imam: la denuncia a dieci anni dalla chiusura dei confini
“Siamo qui alla frontiera di Ventimiglia, dove tante storie si spezzano, memoria viva e grido profetico: non più morte e respingimenti ma accoglienza, giustizia e umanità”. Con queste parole il vescovo della diocesi di Ventimiglia-Sanremo Antonio Suetta ha chiuso l’iniziativa di preghiera interreligiosa e denuncia organizzata ieri a piazzale San Ludovico, a dieci anni dalla sospensione del trattato di Schengen da parte della Francia. “Non è solo un monito legato a un fatto passato, ma di tragica attualità. Dona a noi occhi per vedere, mani per aiutare, cuori capaci di riconoscere in ogni volto un fratello e una sorella – un passaggio del momento di preghiera – Fa, Signore, che nessuno sia straniero su questa terra che tu hai dato a tutti”. L’evento, promosso dalla rete “Mosaico di Frontiera” coordinata dalla Caritas locale, si è svolto accanto al memoriale delle vittime della frontiera, allestito da attiviste e solidali. “Un mausoleo fondamentale, che rappresenta una memoria che va preservata”, ha sottolineato all’apertura dell’iniziativa Maurizio Marmo, responsabile di Caritas Ventimiglia-Sanremo, consapevole del progetto dell’amministrazione di smantellare l’installazione di Pistoletto che ospita il memoriale per fare spazio a un parcheggio e altri lavori di “valorizzazione turistica”.
Sono stati letti ad alta voce i nomi, l’età, la provenienza e le circostanze della morte delle 49 persone che, secondo i dati raccolti dalle associazioni, hanno perso la vita dal giugno 2015: 28 nel tentativo di attraversare la frontiera, 21 in situazioni legate alle condizioni di vita sul territorio. Una memoria che non è solo contabilità: “Commemoriamo la carne della nostra carne – ha dichiarato il pastore valdese di Sanremo, Jonathan Terino –. Il peso sociale di questo peccato ricade su di noi e ricadrà sui nostri figli, perché non abbiamo saputo aprire i nostri cuori. Come comunità di base e di fede possiamo fare molto per porgere un messaggio alternativo con gesti, atti, parole”. Accanto a lui, i rappresentanti delle altre confessioni religiose: l’imam Elkhabti Mbarak, padre Claudiu Mihai della Chiesa ortodossa romena, Abu Bakr Moretta della Coreis, e Taki Hassan, presidente del Centro islamico di Ventimiglia. “Siamo qui anche per fare passare alle istituzioni francesi il messaggio dell’importanza di aprire la frontiera, perché non ne possiamo più di contare i morti”, ha detto Hassan davanti alla polizia di frontiera francese schierata come sempre a ponte san Ludovico per i consueti controlli basati sulla profilazione razziale.
Il rito collettivo, ispirato anche alla rete “Commemor’action” animata da attivisti solidali italiani e francesi insieme ai familiari delle persone migranti scomparse, ha unito le fedi in un’unica voce per la giustizia. “La violenza del confine – hanno denunciato le associazioni – non si manifesta solo nei controlli o nei respingimenti, ma nel modo in cui vengono trattate le persone sul territorio”. Le storie ricordate ieri – come quella di Milet Tesfamarian, 16 anni, uccisa da un camion nel 2016; o di Moussa Balde, picchiato a Ventimiglia e morto nel Cpr di Torino dove era stato trasferito in isolamento – sono il volto concreto di una frontiera che da dieci anni “sospende” non solo Schengen, ma anche la dignità. “Mentre l’Europa rafforza i propri confini esterni e interni, da Ventimiglia si chiede – spiegano gli organizzatori – che almeno non si dimentichino i nomi di chi non ce l’ha fatta. Né il perché”.
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