Salute

Passione lascia, silenzi e retromarce sulle torture in cella

“Se non entri nei luoghi della detenzione, se non guardi, non puoi nemmeno vedere cosa sta succedendo. Io mandavo report, segnalavo, ma nessuno rispondeva. Quando il Garante smette di ascoltare, è finita”. Così Michele Passione, avvocato storico del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, ha annunciato le sue dimissioni. Una decisione amara e radicale, che arriva dopo oltre dieci anni di attività e impegno nei principali processi per maltrattamenti e torture in carcere: da San Gimignano a Reggio Emilia, da Santa Maria Capua Vetere a Verona. “Io vado in carcere da trent’anni”, dice. Ma ora lascia, denunciando un clima cambiato, la perdita di “sintonia” con l’attuale collegio del Garante, scelto dal governo Meloni, e soprattutto il silenzio assordante che accompagna la scomparsa della relazione al Parlamento: lettere rimaste senza risposta, relazioni ignorate, nomine riassegnate all’insaputa del diretto interessato. Il risultato, avverte, è un pericoloso arretramento dell’impegno civile: meno controlli, meno denunce, meno processi. E più impunità.

Avvocato Passione, perché ha deciso di dimettersi?
È una scelta che ho maturato dopo mesi di assenza di risposte, di mancanza di interlocuzione. Ho inviato relazioni, segnalazioni, documentazione processuale: non ho ricevuto nulla. A un certo punto ho pensato che fosse meglio lasciare. Se non c’è più una sintonia sul mandato, è giusto che quella storia la scriva qualcun altro.

A cosa serve l’ avvocato del Garante?
A salvaguardare diritti fondamentali innanzitutto, ma anche a ottenere sentenze fondamentali. A San Gimignano, il tribunale ha riconosciuto per la prima volta la tortura come reato autonomo del pubblico ufficiale. Una decisione di 200 pagine. Altre volte l’esito è stato deludente, come a Reggio. Ma in ogni caso, se non c’è un difensore, se non si resiste alle eccezioni, il processo rischia di deragliare.

Quali segnali le hanno fatto capire che non c’era più sintonia?
Con il vecchio collegio si lavorava con convinzione: nomine tempestive, partecipazione agli incidenti probatori, visite a sorpresa nei luoghi di detenzione. Con il nuovo collegio tutto questo si è affievolito. Le visite si sono rarefatte, le nomine sono arrivate tardi o non sono arrivate affatto. E soprattutto non si fanno più le visite vere, quelle senza preavviso, con équipe di giuristi, psicologi e medici che controllano davvero le condizioni di detenzione. In passato entravamo in carcere alle nove del mattino e uscivamo a mezzanotte.

E invece ora?
Si racconta di numerosissime visite nel giro di pochi mesi: ma così non si vede nulla. In più, il Garante dovrebbe parlare con una voce sola. Invece escono comunicati singoli, prese di posizione individuali. Per me questo non è compatibile con il ruolo di un’istituzione di garanzia.

Il Garante sapeva che l’incarico stava per essere riassegnato.
Non solo lo sapeva: me lo ha detto, ma solo per via indiretta. Dopo che per mesi mi era stato detto il contrario. Non è questione di stile, ma di metodo. Oltre che di cortesia personale.

Qualcuno ha cercato di farla desistere dalla decisione?
No. Un componente ha risposto con cortesia, ma nessuna richiesta formale di rivedere la decisione è mai arrivata. Nessuno del collegio, né tantomeno il presidente, ha cercato un confronto vero. Anche questo è stato un segnale.

Le sue dimissioni potrebbero compromettere i processi in corso?
Spero di no. Ma sono processi complessi, delicati. Servono persone competenti, presenti. A Santa Maria Capua Vetere abbiamo fatto udienze dalle 8 di mattina alle 6 di sera, anche oltre. Se non si seguono con attenzione, se non ci si costituisce parte civile, il rischio è che finisca tutto in assoluzioni o prescrizioni. Già a Reggio Emilia abbiamo visto derubricare la tortura ad abuso di autorità. E parliamo di un detenuto preso a calci, lasciato nudo in cella, con un cappuccio in testa.

Ha incontrato anche difficoltà pratiche nell’esercizio della difesa?
Sì. Perfino per avere atti che il Garante possedeva mi è stato risposto di rivolgermi al Dap. È paradossale: il controllore che rinvia al controllato. Quasi a voler scoraggiare, ostacolare, rendere impossibile il nostro lavoro nei processi più delicati.

Il collegio oggi appare più frammentato?
Sì, non c’è più unitarietà. Ognuno sembra andare per conto suo. C’è chi prende posizione individualmente, chi firma dichiarazioni a titolo personale su carta intestata dell’Autorità. Ma un garante che parla con tre voci dissonanti non può funzionare. Serve una linea comune, se si vuole incidere.

Vede una connessione col recente “decreto sicurezza”?
Sì, è l’aria che tira. Ho partecipato alle audizioni in Parlamento e ho detto con chiarezza quello che penso. Altri, anche all’interno del Garante, sono stati molto più accomodanti. Il decreto sicurezza dedica la metà degli articoli alle forze dell’ordine, garantendo coperture e immunità, mentre criminalizza il dissenso. Io mi aspettavo una voce più ferma. Non l’ho vista.

Ci sono altri segnali che dovrebbero allarmare?
Non si fanno più relazioni al Parlamento, ed è un fatto gravissimo. La relazione del Garante era uno strumento di trasparenza, di controllo democratico e di pressione istituzionale. Dal cambio di collegio quella relazione è scomparsa. Nessuna rendicontazione, nessun confronto pubblico. È il segno di un arretramento culturale, prima ancora che giuridico.

Il nuovo presidente del Garante viene dal Dap. E’ un problema?
Parliamo di un’autorità di garanzia, che dovrebbe vigilare su chi gestisce le carceri oltre ad avere giurisdizione anche su CPR, RSA, SPDC, aeroporti. Ma in particolare sul carcere. Il Garante attuale proviene da quella stessa amministrazione. Il rischio è a monte della scelta che individua una persona che si porta fisiologicamente dietro una storia e non la può dismettere in un momento. Il problema è però quello che rivela il passare del tempo, e cioè che non c’è l’attenzione che lo svolgimento di questo lavoro secondo me merita.

C’è chi parla di un disimpegno consapevole: si vuole lasciar morire i processi più scomodi?
Non posso dirlo. Ma se si pensa che chi li ha seguiti fin qui non sia più adatto, lo si cambia. Non si lascia tutto in sospeso. Io l’ho fatto gratis, con passione e competenza. Ho scritto e studiato la tortura prima che fosse reato. Per questo, almeno, mi sarei aspettato trasparenza.

A questo punto, cosa si aspetta?
Mi aspetto che il Garante ritrovi la rotta. Che qualcuno segua quei processi con la stessa attenzione. Perché altrimenti è tutta fatica sprecata. E le vittime restano senza giustizia. Io ho fatto la mia parte. Ora tocca ad altri.


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