Mixed By Erry: Enrico Frattasio racconta la sua vera storia
Ripubblichiamo questa intervista a Enrico Frattasio, tra le più lette sul nostro sito.
Il film Mixed by Erry di Sydney Sibilia si è già portato a casa un po’ di Nastri d’argento: come miglior commedia, come miglior scenografia e come miglior casting director.
E ora, dopo un passaggio al cinema, è appena arrivato su Netflix Italia, e si prepara a riscuotere il successo che ha già avuto all’estero, tra i film più visti del momento.
La storia è questa, con la napoletanità che rende il tutto ancor più colorito: Enrico, Peppe e Angelo Frattasio sono tre fratelli di Forcella, un quartiere di Napoli. Siamo a cavallo tra gli Anni Settanta-Ottanta-Novanta e la loro è una famiglia molto modesta. Enrico, appassionatissimo di musica, vorrebbe fare il dj, ma intanto, nella sua timida attesa di coronare il suo sogno, mixa compilation, prima per gli amici, poi, su pagamento, per chi gliele chiede. Crea musicassette personalizzate per gli abitanti del quartiere, finché, grazie all’aiuto dei fratelli Beppe e Angelo, gli affari si estendono e «Mixed by Erry» diventa un’etichetta musicale conosciuta nel mondo intero, la prima in Italia per introiti. A un certo punto, però, la Guardia di Finanza li blinda, i beni vengono confiscati e loro si fanno pure qualche anno di galera.
Il film è appassionante, divertente, «vero». Ma quanto è andata proprio così? Quanto c’è di fiction e quanto di realtà? L’abbiamo chiesto al direttissimo interessato, Enrico Frattasio, Erry per gli amici, oggi un signore di quasi 60 anni, poco più che un ragazzino ai tempi in cui è ambientato il film.
«Su una scala da 1 a 10, diciamo che il film è veritiero 6. La storia lì è romanzata, tutto molto amplificato. I fatti sono quelli, ma, per esempio, la bomba e i miliardi nascosti sotto il campo da tennis non ci sono mai stati. E poi anche l’inizio in realtà non andò così, non avevamo subito chiesto il prestito: avevo vinto alla schedina, un tredici e quattro dodici. Con quei soldi avevo cancellato dei debiti che aveva mio padre e avevo comprato il primo impianto per registrare le cassette. Diciamo che il libro di Simona Frasca pubblicato da Ad Est dell’Equatore è molto più diretto, più attinente alla realtà: il libro racconta tutto, per come sono andate davvero le cose».
E di cose ne sono successe parecchie, cose che avete pure pagato caro…
«Eh, sì. Ci sono state denunce che sono piovute dalle case discografiche, processi, la prigione e gli arresti domiciliari. Per anni, quando siamo usciti di galera, usavamo dei nomi finti, per nasconderci. Purtroppo per le nostre famiglie è stato deflagrante. Nessuno se lo aspettava: quando facevamo le musicassette non esisteva ancora la legge contro la pirateria e noi siamo stati i primi arrestati in Europa per questo reato. Quando passava la polizia e faceva i blitz per la droga a Forcella, magari mi vedevano pure che stavo registrando, mettevano la testa dentro e dicevano “Ah, vabbuò, è Erry, un bravo ragazzo, lasciamolo stare!”. In un quartiere come Forcella, fare cassette piratate era la cosa più legale che potesse esistere, non pensavamo certo di fare una cosa così grave».
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